Olga Grjasnowa

Olga Grjasnowa Tutti i russi amano le betulle


Keller editore, 2015 Narrativa Straniera | Romanzo | Baku Azerbaigian premio Anna Seghers premio Klaus-Michael Kühne

28/07/2015 di Eliana Barlocco
Proprio in questi giorni sui media girava l’intervento che ha tenuto la Cancelliera Angela Merkel in una scuola tedesca. La bambina palestinese, che ha innocentemente espresso le sue paure e che ha subito la glaciale risposta della Merkel, rappresenta il mondo di oggi e soprattutto quello del futuro. Il mondo che cerchiamo con ostinazione di tenere fuori dai nostri confini, riparandoci, alla meno peggio, dietro leggi restrittive oppure riportando in auge la creazione di muri per arginare il fenomeno dell’emigrazione. Ma tutto ciò è parte dalla naturale evoluzione di ogni specie.

In questo romanzo d’esordio - Tutti i russi amano le betulle - si racconta una storia di emigrazione ed integrazione. Ci si interroga sul senso di appartenenza e di come questa appartenenza a volte sfugga alla logica comune. Si affronta il dolore della persecuzione dei popoli attraverso il dolore privato dei singoli.

La protagonista del romanzo, Masha, rispecchia in parte la giovane scrittrice. Olga Grjsnowa è nata a Baku per poi trasferirsi in Germania, dopo aver fatto alcune tappe in Polonia, Russia e Israele. E anche Masha, di origine azera, arriva con la famiglia in Germania, dove si forma (fa la traduttrice) e dove ha quasi esclusivamente amici mussulmani. Ad un certo punto della propria vita, a causa di un tragico evento, si perde in se stessa e non ne viene più a capo. La sofferenza repressa dell’infanzia e, soprattutto le situazioni difficili che ha dovuto suo malgrado sopportare, la riempiono di rabbia. Incapace di reagire si rifugia in Israele (perchè nel mix di radici che si porta appresso, vi è pure quella ebraica). E qui…

Il libro è diviso in quattro parti ed è scritto con ironia ed acume. E’ un romanzo che aiuta a riflettere

sull’atteggiamento che abbiamo nei confronti dell’altro, perché l’Altro fa paura a tutti. E noi siamo assolutamente impreparati ad affrontarlo. La lettura di scritti come questo, scaturiti dalla penna di immigrati di seconda generazione (Olga scrive in tedesco), ci aiuta a comprendere quanti danni possono provocare l’odio e la paura: “Lodio non era un fatto personale, ma strutturale. Le persone non avevano più un volto, degli occhi, un nome e un lavoro.Persone che si conoscevano da una vita, dimenticavano tutto ciò che sapevano le une delle altre. Rimaneva solo la cosiddetta nazionalità

La speranza è che leggendo spaccati di mondo reale come questo, si possa imparare a vedere l’infinito dietro il ‘nostro confine’.