Mieko Kawakami Seni e uova
2020, Edizioni e/o, collana Dal mondo, traduzione di Gianluca Coci, pp. 624, 18 euro Narrativa Straniera | Romanzo | Letteratura giapponese
02/04/2021 di Ambrosia J. S. Imbornone
L’opera è un affresco realistico, sfaccettato e potente che ci mostra senza retorica tanti modi di essere donna: i personaggi del romanzo infatti sono quasi tutti femminili, a partire dalla protagonista, Natsume Natsuko (in italiano lo riordineremmo come Natsuko Natsume), il cui cognome materno, assunto dopo la separazione dei genitori, e il cui nome cominciano casualmente (o no?) con il carattere cinese per l’estate. Le storie della famiglia dell’aspirante scrittrice Natsuko (la sorella Makiko, la nipote Midoriko, ma anche nei flashback la mamma e nonna Komi) e delle tante donne che entrano nella sua vita (colleghe sue e di Makiko, editor, scrittrici, donne incontrate a convegni, ecc.) consentono di affrontare temi delicati e cruciali, visti dall’interno con naturalezza e concretezza, mai con morbosità, o per la voglia superficiale di suscitare dibattiti e polemiche: nella parte uno si parla così del rapporto con il proprio corpo, con il seno e il ciclo, osservati da punti di vista ed età differenti, mentre nella parte due ci si concentra sulla maternità e sul desiderio di avere un figlio da sole con la fecondazione assistita, ma anche sulla sessualità, anzi asessualità della protagonista. Natsuko non ama fare l’amore e non vuole sentirsi diversa solo per questo, né pensa che le debba essere preclusa la strada della maternità, dato che sente prepotente il desiderio di “incontrare” suo figlio.
Nel romanzo si riflette così con domande aperte anche sulla famiglia: vi sono infatti molte famiglie unigenitoriali con padri lontani o allontanati, con padri biologici da cui fuggire e padri non biologici saggi e affettuosi. Ci sono donne che si comportano da “serve munite di fica” e continuano a essere servizievoli con uomini violenti, che amano più dei figli, e donne coraggiose che fanno mille sacrifici per crescere da sole le loro bambine, dopo relazioni finite nell'indifferenza reciproca; ci sono suocere che “in un misto di superbia e risentimento” costringono le nuore, che anche loro detestano, a servirle e riverirle, solo perché anche loro hanno dovuto accudire i suoceri, così come ci sono donne che hanno subito violenze da padri non biologici e che pensano che non bisognerebbe svegliare quei dieci bambini che dormono beati e tranquilli in una casetta fiabesca nel cuore della foresta, dove non conoscono “gioia e felicità, né tanto meno tristezza e dolore”. C’è la tradizione che soffoca e ci sono scelte personali faticose, studiate a lungo, che vanno oltre i pregiudizi e l’immagine secolare della donna moglie e amante. Ci sono persone sole che muoiono all’improvviso e mamme amate portate via troppo presto dal cancro al seno. E per le donne sole che vogliono diventare mamme ci sono banche del seme straniere e improbabili donatori privati. Ma la maternità è ancora indispensabile per sentirsi complete? È un atto di altruismo o di egoismo? E chi tutela il diritti dei bambini nati da seme di donatore anonimo di conoscere l'identità del padre? Chi li risarcisce dello choc vissuto quando scoprono da adulti la verità sul loro concepimento? E che legame unisce una madre a un figlio? Se per alcune donne del romanzo sono i figli a dare un senso alla propria vita, altre mamme appaiono fredde, quasi anaffettive, oppure c’è chi pensa che il legame con una figlia non sia "fortissimo e indissolubile", che la sua bambina crescerà in fretta e comincerà a odiare la madre come è successo a lei. Insomma, Kawakami ci offre punti di vista diversi e le due facce della medaglia, in una fotografia vivida, complessa, problematica e particolareggiata della condizione femminile, in Giappone, ma valida con poche varianti anche per molte altre latitudini.
Le magnifiche sequenze descrittive conducono il lettore in spazi interni ed esterni, che diventano familiari e talora tornano in modo circolare nel romanzo, come nel caso della ruota panoramica. Ecco allora che la povertà si intuisce dal numero delle finestre, o che si scopre il contenuto della cartella di Natusko da bambina, che conteneva “le matite, le gomme da cancellare, le palline profumate e i pennarelli preferiti. Il portapenne nuovo di zecca. I cappucci brillantinati per le matite” ed era per lei “come un tesoro”. Ecco che si impara a conoscere bene il pouf in cui la protagonista affonda e i futon, i letti tradizionali giapponesi, gli snack-bar con le loro hostess e i konbini, minimarket aperti fino a notte fonda, ma anche le sorgenti termali (onsen) e i treni ad alta velocità (shinkansen), il clima e i cieli giapponesi. Ecco che ci si ritrova con la protagonista e l’autrice a chiedersi cosa contraddistingua Osaka e la differenzi da Tokyo, dove la protagonista si è trasferita ormai da parecchi anni, se si tratti dei gesti, degli sguardi, del contegno, o del dialetto, che si ipotizza che abbia persino il fine di “competere” e “fare spettacolo”, oltre che di comunicare.
Ancora, Kawakami ci conduce nel mondo dell’editoria, tra editor che stroncano ed editor che spronano, scrittori egocentrici, boriosi e idioti, cene che finiscono a schiaffi e reading noiosi a cui il pubblico si reca per “senso del dovere”, per vedere il proprio scrittore preferito, e fingere forse di comprendere e gradire tutto.
In uno stile suggestivo, delicato, profondo e immaginifico, che alterna e fonde il presente e un passato rievocato con nostalgia per gli affetti rinsaldati pure e soprattutto dalla miseria e dalla gioia delle piccole cose, questo romanzo appassiona e affascina come la grande letteratura, che scuote e fa riflettere, sa porre domande e condurre in un mondo reale, di sacrifici e dubbi, di parole e silenzi, discorsi notturni, telefonate inattese e mail, un mondo senza fiabe, senza principi azzurri, con pochi uomini che sfumano spesso sullo sfondo e tante donne che cercano innanzitutto loro stesse, di capire cosa conta davvero, al di là di egoismi, frustrazioni, obblighi e convenzioni sociali. Imperdibile.