Michela Murgia Chirù
Einaudi, 2015 Letteratura Italiana | Romanzo
01/02/2016 di Alessandro Leone
E’ una delle motivazioni che contribuiscono a tessere il filo di ambiguità su cui la maggior parte della nuova opera della Murgia, un’artista eclettica, carismatica, enigmatica, capace di diversificarsi dal grande successo di Accabadora in poi, si fonda.
Un’ambiguità che sta alla base anche del rapporto stesso tra Chirù, un diciottenne “slabbrato, come se osservasse il mondo da uno sguardo offeso”, subito descritto come i “legni sulla spiaggia, levigato e ritorto, scarto superstite di una lunga deriva” ed Eleonora, che del campo teatrale ed artistico ne ha fatto sia un mestiere che una possibilità di “fuga dalle emozioni” nello stesso significato che TS Eliot adduce alla sua poesia. Un rapporto di magistero di cui ci chiediamo se sia ancora possibile l’esistenza e che ben presto passa dalla sfera artistica ad accogliere tutto il contorno umano lasciandoci comunque nel dubbio che non sia l’alunno ad aver imparato di più. Sappiamo che Eleonora avrebbe voluto lasciarsi il passato alle spalle, un passato delineato ed affrontato dall’autrice solo a tratti, quasi volutamente sfumato ma utile per riuscire a capire che il conflitto padre-figlia e la sensazione di essere una “pecora nera” all’intero del nucleo familiare influiscano su qualsiasi rapporto che l’insegnante intrattiene con i suoi alunni (presenti e passati). Per questo seleziona i suoi discepoli ed ostenta sicurezza per modellare una figura a suo piacimento, che gli dimostri che i suoi problemi sono problemi di tutti e che il suo fallimento adolescenziale, da cui scaturisce la sua personalità combattuta, non è dovuto ad una specifica debolezza. Ma in fondo anche lei non riesce a definirsi e spesso non sa quale funzione debba prevalere sull’altra.
“La madre, l’amante e la maestra erano una triade simbolica che non poteva perdere neppure un tassello: le prime due si facevano la guardia a vicenda, e la terza ricordava a entrambe che il privilegio di quella tensione aveva il tempo contato. Sapevo di essere un insieme di queste cose, ma allo stesso tempo non ne ero alcuna pienamente”.
Chirù deve crearsi una sua immagine, o meglio lasciarsi creare, perché l’immagine è sua non in quanto scelta ma indossata. Una volta vestito con la stoffa giusta, entrato a contatto con le dovute ed utilitaristiche conoscenze, ha tutto ciò che è necessario per permettere al suo arrivismo, alla sua spavalderia di venir fuori improvvisamente.
L’ingenuità della maestra vestita da falsa sicurezza è la rovina per Eleonora. Il suo rapporto inizia ad assumere connotati sorprendenti e da voce fuori dal coro non riesce ad abbattere le barriere anagrafiche, preferendo scegliere la strada sicura verso un futuro già scritto, chiuso. Pensavamo che un personaggio come il suo affrontasse ogni situazione a viso aperto, con soggezione ma senza paura ed invece dobbiamo tornare alla ricerca di un altro paladino. Ma è ancora possibile trovarlo? Oppure è un’amara satira della nostra società che ci priva dell’evasione per tracciare un ritratto di noi stessi? Forse gli eroi rappresentano quello che noi non siamo ma l’aspirazione per ciò che vorremmo diventare. Non sarebbe il caso di Eleonora ma in fondo la sue debolezze sono un po’ le nostre e purtroppo, anche l’epilogo sembra essere lo stesso.