Matteo Ceschi Note per salvare il pianeta
prefazione di Ricky Gianco, VoloLibero, 2020, pp.194, euro 16. Saggi | Musica
19/01/2021 di Franco Bergoglio
Sulla base delle domande ricevute, Ceschi ha costruito un percorso cronologico, che attraversa i decenni e i generi musicali, coinvolgendo artisti che vanno dal jazz al metal. Il futuro della terra è un nodo fondamentale e i musicisti dicono da decenni la loro, portando avanti un’opera di sensibilizzazione unica. L’autore inizia con il fissare un momento scatenante che fa “esplodere” il tema: il termine non è virgolettato a caso, visto che parliamo della bomba atomica e del suo uso nelle fasi finali della Seconda guerra mondiale a Hiroshima e Nagasaki. Risalgono al 1947, a conflitto ancora fresco, le prime canzoni che si occupano del pericolo atomico, inaugurando una tradizione che si consoliderà con Pete Seeger per arrivare al primo Bob Dylan.
Con l’avanzare degli anni Sessanta lentamente dal discorso antinucleare e pacifista l’attenzione verso l’ambiente si sposta ai temi legati all’inquinamento e qui l’autore ripercorre la nascita di Greenpeace, battezzata musicalmente grazie a un concerto benefico tenutosi il 16 ottobre 1970 al Pacific Coliseum
di Vancouver, ospiti Joni Mitchell, James Talylor e Phil Ochs. Tramontata l’idea di rivoluzione, l’ambientalismo divenne il nuovo terreno di battaglia per i sopravvissuti della Woodstock Generation, un movimento che coinvolse sia i giovani che assistevano ai concerti sia gli artisti sui palchi. Mentre molti diventavano militanti delle prime organizzazioni ambientaliste artisti simbolo degli anni Sessanta si fecero coinvolgere da questo nuovo impegno sociale. Un caso eclatante è rappresentato da Country Joe McDonald, che si gettò anima e corpo nella campagna per la protezione delle balene, incidendo canzoni a tema e partecipando a concerti per la raccolta di fondi. Gli artisti reagiscono diversamente a seconda dell’approccio e del genere musicale: alla denuncia veemente di McDonald Ceschi accosta la ricerca condotta insieme a zoologi e altri studiosi effettuata da Paul Horn e Paul Winter, esperti jazzisti che cercano di comunicare con i cetacei attraverso i propri strumenti a fiato. Questi sono solo pochi esempi perché i temi toccati nel libro sono davvero tanti: sempre nel 1970 Joni Mitchell in Big Yellow Taxi canta la cementificazione, e l’uso di pesticidi sulla frutta che provoca la scomparsa delle api con il celebre ritornello: hanno pavimentato il paradiso/e costruito un parcheggio.
Nel 1971 esce What’s Going on, il disco fondamentale di Marvin Gaye contenente il brano Mercy Mercy Mercy (The Ecology) con il quale anche la musica nera entra da protagonista nel discorso ambientale; un tema ripreso in maniera potente dai Funkadelic di America Eats Its Young (1972), dove sia la musica, sia la grafica del visionario artista di Chicago Pedro Bell (una maligna statua della libertà che si mangia i bambini), veicolano un discorso duramente politico, riassunto dal leader George Clinton nelle note di copertina: “l’America divora la sua gioventù. Ma noi, a nostra volta, ci divoriamo l’America, la inquiniamo, abusiamo di lei, la stupriamo…”.
Il libro procede ricco di titoli e artisti fino al 2020 e agli ultimi risvolti musicali (tra gli altri- Piero Pelù e Pearl Jam) innescati dal movimento Extinction Rebellion ispirato da Greta Thunberg. Impossibile raccontare nel dettaglio un libro che brilla per sincretismo spaziando liberamente tra generi, artisti, paesi di tutto il mondo: per coloro che sono sensibili al rapporto tra musica e ambiente, la lettura del saggio rappresenterà una fonte continua di sorprese.