Massimiliano Loizzi

Massimiliano Loizzi Quando diventi piccolo


Fabbri, 2019 Romanzo

24/06/2019 di Ambrosia J. S. Imbornone
L’attore Massimiliano Loizzi, classe 1977, formatosi prima presso il Teatro Abeliano e poi alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, che ha frequentato però solo per due anni, ha collaborato con nomi come Paolo Rossi e Tullio Solenghi; ha fondato con la compagna Patrizia Gandini la compagnia dei Mercanti di Storie, a cui si è poi unito il maestro Giovanni Melucci; insieme propongono spettacoli che fondono musica, parola, satira, musica e poesia, nell’ambito di un’idea di teatro popolare per tutti. Il Teatro della Cooperativa ha coprodotto i suoi ultimi lavori, Il matto, Il matto 2, Il matto 3 e Io ed Io – Gaber secondo i Mercanti di Storie. Dal 2011 è attore del gruppo del Terzo Segreto di Satira: tra le altre cose è protagonista della serie Sandro con Francesco Mandelli, arrivata alla seconda stagione, ed è stato tra gli interpreti del primo lungometraggio del collettivo, Si muore tutti democristiani (2018). Quando diventi piccolo è il suo romanzo d’esordio e presenta una struttura particolare: i capitoli del libro, “una storia completamente vera”, perché “inventata da capo a piedi”, come l’autore scrive citando Boris Vian, si susseguono infatti non secondo un ordine logico e cronologico, ma seguendo l’ordine analogico dei ricordi, in una fitta rete di corrispondenze tra passato e presente. All’autobiografia reale o immaginaria si fondono così la satira di costume, lo sguardo lucido su valori e disvalori di più generazioni, la saga familiare, una scrittura ora realistica, ora ironica, ora visionaria e fantastica, tra romanzo di formazione volutamente rapsodico, aneddoti di infanzia, amori ed eroi fantascientifici; infatti nel romanzo troviamo un padre che si diceva amico di Han Solo e che un giorno si allontanò dalla famiglia sul suo vecchio pandino bianco come su un Millennium Falcon; c’è poi una figura di sfondo, eppure ricorrente, di un fratello maggiore, che quasi inevitabilmente indossava i panni protettivi di un Batman, con cui combattere i cattivi (nella realtà è il talentuoso cantautore Luca Loizzi, che ha insegnato a Massimiliano a “scrivere con il cuore” e gli ha permesso di conoscere da bambino i Beatles); infine lo stesso protagonista, mentre il padre perdeva la voglia di raccontare storie e i suoi compagni delle medie lo prendevano in giro, sognava di vedere una piccola navicella spaziale scendere su una spiaggia e poter viaggiare per universi sconosciuti. E come aveva deciso, da grande è diventato, almeno per la sua famiglia, un “piccolo, grande cosmonauta”, ma ha smesso di scappare e ha imparato a diventare piccolo. Sì, perché in questo romanzo è fondamentale appunto il rapporto genitori-figli e la dimensione di figlio si compenetra e fonde con quella di padre; vi sono infatti corrispondenze e analogie tra le esperienze vissute come figlio e quelle vissute in qualità di padre, come una nevicata vissuta da bambino con tanto di delusione per un improbabile furto di un pupazzo di neve e una nevicata vissuta a Milano con compagna e bimbi tutti bardati come per andare sul Cervino, segnata poi dall'incontro con una ragazza dalle caviglie insolitamente scoperte, ma con il coraggio di fare un bel gesto, come sacrificare un rossetto per correggere un banalissimo disegno a sfondo sessuale su un manifesto e togliere quel sorrisetto stupido a tre trogloditi che lo rimiravano. Perché è “con i gesti che si cambia il mondo, non con le opinioni”, come sostiene la compagna di Massimiliano.

Tra mille episodi di vita reale e concreta, tra immagini e storie ambientate nella Puglia natia, in Europa o nella Milano di oggi, non mancano infatti buoni insegnamenti da tenere a mente: come suo padre, il protagonista ha insegnato ai suoi bambini che non esistono buoni e cattivi, ma solo persone che compiono azioni buone o cattive, mentre della madre ricorda ad esempio una splendida affermazione come “è meravigliosa la bellezza del fallire”, perché “il tentativo è degno quanto la riuscita”. D’altronde la mamma, quando suo figlio era piccolo e a scuola interpretò il vecchio Scrooge, si commosse probabilmente proprio perché Canto di Natale è la fiaba perfetta della “seconda possibilità, delle occasioni perdute e poi ritrovate, la fiaba dei perdenti, degli ultimi, delle scelte sbagliate, delle illusioni perse”. In questo libro non si fornisce difatti un’immagine oleografica di una famiglia ideale, ma se ne vivono le piccole e grandi difficoltà, come quella di confrontarsi e accettare gli errori e i lati oscuri di un padre, pure divertente e imprevedibile, che un tempo era stato il proprio miglior amico. In un mondo che non è il migliore dei mondi possibili, ma per fortuna neanche l’unico possibile, inoltre, gli ideali da inculcare ai figli si scontrano spesso con una realtà certo non idilliaca, per cui ci si domanda se raccontare ai figli il mondo com’è o come dovrebbe essere. I valori che si cerca di trasmettere ai bambini sono infatti l’onestà, la solidarietà nei confronti dei lavoratori sfruttati e dei meno fortunati, l’uguaglianza di tutti i diritti e gli amori, ma ci si muove in una società in cui battute a sfondo omofobo o attacchi razzisti sono all’ordine del giorno: in un condominio di ringhiera milanese il razzismo si manifesta ad esempio in scatole cinesi che prevedono un condomino milanese doc che si scaglia contro i “terroni”, una signora d’origine calabrese contro una coppia omosessuale albanese, la maggior parte degli inquilini contro una congolese e infine quest’ultima contro una signora filippina che non parla bene l’italiano. Si osserva come alcuni adulti purtroppo cerchino di infondere i loro pregiudizi xenofobi anche nei bambini, ma anche come alla fine, in un clima ostile, nessuno sia totalmente immune dal pericolo di qualche pensiero razzista, come accade al protagonista, quando teme a torto che un giovane d’origine straniera, che ha difeso dagli sproloqui di un anziano, possa avergli ruba il portafogli in un abbraccio di ringraziamento.  

Nel romanzo si alternano momenti in cui i genitori educano i figli con episodi importanti per la crescita morale e civica di questi ultimi, e pagine in cui sono i figli a insegnare qualcosa ai genitori: al contrario di tanti adulti disincantati e talora rassegnati, i bimbi infatti credono nel potere della fantasia e riescono a immaginare una soluzione per ogni problema (come dimostra il “piccolino grande” di Massimiliano, quando cerca di riparare il pianto della sorellina con un cacciavite giocattolo). I bambini credono inoltre che tutto possa accadere, se non adesso, in un tempo indefinito e senza contorni, grazie alla formula magica di un semplice “se vuoi”: allora se puoi diventare grande, puoi anche diventare piccolo, giocando con i tuoi bambini e guardando il mondo dalla loro prospettiva.

Il libro, in cui ci si interroga spesso sul concetto di rivoluzione e in cui si registrano con toni realistici e doverosamente drammatici anche alcune esperienze dirette dei “fatti di Genova” 2001, è anche “la storia di un uomo di sinistra in Italia, quindi è una tragedia ma che fa molto, molto ridere suo malgrado”: Massimiliano Loizzi, che qui racconta anche alcuni anni da artista di strada prima e la sua vita di attore sempre in movimento poi, è un professionista brillante, per cui nel libro non mancano pagine divertenti, non solo e non tanto per i contenuti, ma per come sono raccontate le vicende, per la mimesi del linguaggio, la riproduzione dei tic, ecc. tipica del mattatore comico. I più grandi attori che sappiano far ridere tuttavia ben conoscono anche la malinconia e questo romanzo è punteggiato anche di capitoli intimi e toccanti; però “ridere è l’unico modo per mantenere l’equilibrio”, per cui a volte in queste pagine si avverte quasi la paura di essere seri e di affrontare senza filtri il momento più triste e difficile, quello dell’ultimo addio al padre. Probabilmente un argomento così cruciale era troppo difficile e penoso da raccontare e allora quel giorno d’estate del 2013 è spezzettato in tanti capitoli anche distanti tra loro, eppure si fa fil rouge essenziale di una vicenda che è innanzitutto interiore. D’altronde una figura pure paterna come l’oste Franco aveva insegnato al giovane Massimiliano che “non si può far ridere, se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, l’amore senza speranza, la disperazione della solitudine di certe squallide camerette, la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un cappuccino e brioche. Insomma, non si può far ridere e raccontare storie senza aver fatto la guerra con la vita”, parole del principe della risata Totò, che ha saputo essere anche maschera drammatica della “miseria” e della “nobiltà” dell’Italia del dopoguerra. Questo volume, infatti, per quanto sia scorrevolissimo, divertente e avvincente, comprende anche riferimenti e ispirazioni, esplicite o implicite, mutuate da letteratura, cinema, musica, ecc. E lo stesso funerale del padre, da cui il protagonista ha ereditato “alcune virtù tra cui la capacità unica di raccontare storie e molti vizi", diventa una sorta di visione pasoliniana tra prostitute, gitani e amici scomparsi, fino a trasformarsi nel “primo funerale d’amore senza dio e senza padroni”; proprio al romanzo delle stragi di Pasolini e al suo “Io so” si riallaccia d’altronde la seconda parte del capitolo Il funambolo.

Stiamo cercando di non svelare troppi dettagli interessanti di un libro che vi consigliamo di leggere, ma possiamo comunque anticiparvi che in qualche modo i tanti pezzi di una personalità in costruzione tra il diventare grande e l’imparare a diventare piccolo, le tante tessere di una storia familiare e individuale non semplice e non idealizzata in qualche modo vanno tutte al loro posto: anche gli errori del papà del protagonista, con tutto ciò che egli non avrebbe mai dovuto essere, hanno fatto in modo che il figlio diventasse ciò che è diventato, cioè probabilmente quello che il padre avrebbe voluto essere. Anche se alcune persone molto care scompaiono, anche se le città si trasformano, portando via alcuni luoghi del cuore e lasciando un senso di pavesiana malinconia, ai ricordi del passato alla fine si può guardare con una nuova serenità. E dopo aver cercato a lungo il proprio posto nel mondo, lo si ritrova nella casa dove si vive con compagna e figli, che hanno appunto salvato il protagonista. Innanzitutto dalle proprie paure.

Non me ne vogliano in tanti, ma è una delle prime volte che raccogliere, approfondire e ampliare in un libro aneddoti già raccontati in parte sui social ha un senso: a Massimiliano Loizzi questo romanzo lo si chiedeva a gran voce da tempo, per salvare quei racconti da un possibile naufragio informatico e poter fruire pienamente di quella sua capacità speciale di narrare storie, tanto apprezzata negli spettacoli teatrali, così come sul web. In tempi in cui siamo fin troppo esposti al dominio dell’effimero e tanti giovani racchiudono la propria vita in storie Instagram che resteranno in rete per sole 24 ore, bisogna proteggere e custodire per il futuro pensieri e riflessioni che meritano di essere letti e riletti. E le storie di questo libro, tenero e avventuroso, esilarante e pensoso, romantico e bohémien, intimo come un diario, combattivo grazie alla fiducia nei propri ideali, tra quadretti familiari dolcissimi, ricordi d’infanzia che colgono entusiasmi e piccole delusioni, pagine commosse e drammatiche, meritavano e meritano di essere salvate, non tra gli elementi di una lista di post e link da rivedere su un social network, ma in una libreria.