
Marina Achmedova Krokodil
Meridiano Zero, 2014 Narrativa Straniera | Romanzo
15/07/2016 di Eliana Barlocco
- Nulla - rispose.
Ne fui meravigliata: perché farsi se non si prova nulla?
- Mi sento come te - mi spiegò”
Marina Achmedova è una giornalista russa. Nel 2012 si reca a Ekaterinburg per lavorare ad un reportage giornalistico sul propagarsi di una nuova droga nelle periferie russe: il krokodil. Trascorre quattro giorni insieme a un gruppo di tossici e da quella esperienza ne nasce un articolo pubblicato sulla rivista russa Russkij Report. Dopo tre giorni il reportage viene rimosso dal sito della rivista e messo al bando con l’accusa di incitare l’uso di narcotici. Da lì l’idea di scrivere un romanzo dal titolo Krokodil.
Il krokodil è una droga sintetica a base di desomorfina. “La desomorfina nasce alla fine degli anni trenta del secolo scorso, quando alcuni scienziati occidentali tentarono di ottenere nuovi antidolorifici partendo dalla morfina. Modificarono la struttura delle sue molecole e riuscirono a creare una serie di sostanze, la più efficace delle quali risultò proprio la desomorfina…..le sperimentazioni cliniche chiarirono che l’azione del farmaco era a breve durata, e il rischio di dipendenza molto alto.” E’ una droga che provoca lacerazioni sulla pelle, la pelle stessa si riempie di ulcere e escoriazioni ricordando di fatto quella dei coccodrilli, da cui il nome. La dipendenza è immediata e dopo un anno e mezzo circa attende la morte. “Chi si fa di Krokodil soffre di un dolore fisico che può togliere soltanto il Krokodil. L’effetto dura circa un’ora e mezza e loro sono spinti a iniettarselo nuovamente per evitare il dolore. Ho chiesto spesso alle persone quali siano i motivi che li portano a farsi e loro mi hanno risposto di non aver paura della morte, ma del dolore.”
Protagoniste del romanzo sono due sorelle Jaga e Sveta. Il nome Jaga richiama il folclore slavo: Baba Jaga è una vecchia strega con poteri magici, vive nel bosco in una izba su due zampe di gallina. Spesso è malvagia, ma a volte aiuta, coi suoi consigli, gli eroi delle fiabe. Anche il nome Sveta (che deriva dalla parola sole) riporta alla favola del Coccodrillo di Chukovsky, quella in cui il coccodrillo (guarda caso) si mangia il sole. Insomma, non so se causalmente o volutamente, una trasposizione del fantastico nel mondo reale.
Le due protagoniste sono attorniate da altri personaggi - zombie che, provenienti da differenti percorsi, si ritrovano a condividere lo stesso destino di dipendenza. Uomini e donne che hanno perso il contatto con la realtà, incapaci di qualsiasi tipo di rapporto che non sia finalizzato al “farsi”. Bruciati nel loro essere in vita e incapaci di portare vita, ma anelanti verso una qualsiasi forma di amore. Agghiacciante è pensare razionalmente a come possano credere, in tali condizioni, di mettere al mondo dei figli; ma al contempo struggente è riflettere sul dolore della perdita e l’indifferenza verso quel dolore da parte della società “pulita”. La scrittura del romanzo è asciutta, priva di orpelli. Una verità amara incisa su carta.
Di fantastico, nel mondo di Jaga, non c’è nulla. I protagonisti non sono inventati, solo i nomi sono di fantasia. Il Krokodil si è diffuso in maniera capillare in Russia falciando un numero notevole di vittime, in Italia (non ho trovato statistiche in merito) pare non sia così diffuso perché è più difficile procurarsi la desomorfina. Da noi, se ci fate caso, non si parla quasi più delle dipendenze. E se lo si fa, spesso il dibattito è condotto da inesperti. E allora, per non confondere il fantastico con il reale, ben vengano libri - reportage come questo. Per conoscere, affrontare il coccodrillo (qualunque esso sia) e ucciderlo.