Lucia Esposito

Lucia Esposito Sorelle Spaiate


Giunti, 2024, 253 pagine, 15.90 euro Narrativa Italiana | Romanzo

30/06/2024 di Silvano Rubino
Ci sono molti modi di leggere un romanzo. Uno di quelli che preferisco è quello di cercare, nelle parole, nelle storie, nei personaggi, nelle emozioni raccontate, qualche traccia, qualche semino, qualche frammento della persona che c’è dietro tutto questo. In Sorelle Spaiate di Lucia Esposito, giornalista al suo esordio narrativo, credo di aver rintracciato molto della sua autrice. Del suo modo di essere, di vivere, di vivere la professione, ma soprattutto i legami, quelli che evidentemente ha deciso di conservare caparbiamente, nonostante una professione che tende (o pretende) molta esclusività.

In Sorelle Spaiate si intravede un'autrice legata alla famiglia, alle amicizie, alla sua Napoli, ma c’è soprattutto una persona che ha scelto di vivere la professione a modo suo, rifiutandosi di ascoltare il consiglio di un caporedattore napoletano, che si trova all’inizio del libro: “Per stare sulla strada devi lasciare ‘o core a casa, piccerè”. Dove per strada si intende quella che deve percorrere una cronista per fare il suo mestiere. Esposito ha fatto la cronista per gran parte della sua carriera, ma - come il suo alter ego protagonista del libro, Viola - ‘o core a casa non l’ha mai lasciato.

Per chi ha seguito la sua carriera da cronista, è facile rilevare che la sua inesausta curiosità per il prossimo non si è mai tramutata in cinismo, la sua voglia di raccontare storie non è mai diventata la ricerca del “carino”, del “sensazionale” (nel romanzo ci sono varie sacrosante stoccate a questo modo di intendere e di fare i giornali). Questo libro è frutto del suo approccio alle storie, alle vite altrui. 

Quella attorno a cui ruota il romanzo è una storia in cui Esposito si è imbattuta da giovane cronista, una storia durissima, di una giovane prostituta albanese, Ershela, rapita, ridotta in schiavitù e portata sui marciapiedi d’Italia a sprofondare nell’abisso, alla fine degli anni '90. È la storia di Ershela raccontata da lei stessa, attraverso le lettere che ha scritto a sua sorella Alina, senza mai spedirgliele. Ma è anche la storia di Viola, che di quelle lettere, a un certo momento, viene in possesso.

Esposito racconta le vite parallele di queste due donne, dominata da un sentimento di pietas che è appunto la cifra del romanzo. Quella pietas che forse, nel lavoro di cronista, ha dovuto mettere troppe volte a tacere (perché, come racconta lei stessa nel libro attraverso il personaggio di Viola, non è di pietas che si nutre il giornalismo, ma di scoop e di sensazioni forti) e a cui, attraverso questo romanzo, lascia libero sfogo.

È come se l'autrice, attraverso Viola, avesse voluto fare quello che non si fa quasi mai quando si fa cronaca: provare a raccontare quello che c’è dietro le vittime, anche quelle più invisibili, quelle più marginali: immense ricchezze di vita, di esperienze, di sentimenti, di forza, di amore inesauribile, come quello che lega Ershela a sua sorella Alina.

Esposito - che come Viola ne è venuta in possesso - ha tenuto custodite 28 anni quelle lettere. Oggi ne ha fatto un libro, un romanzo, non un saggio o un reportage. Questo perché - come dice Javier Cercas, grande scrittore spagnolo, maestro nel mescolare realtà e finzione nei suoi romanzi, - ”certe verità possono essere raggiunte solo con la finzione, e una di esse è quella letteraria”.

La verità letteraria di Sorelle Spaiate è un viaggio agli inferi dello sfruttamento, ma anche della resilienza, è un omaggio alla forza delle donne, uno schiaffo in faccia alla meschinità degli uomini. È molto altro: è il racconto delle difficoltà dell’amore, quello tra sorelle, quello tra amanti. È il racconto di come spesso chi vive nel privilegio di una vita agiata e senza traumi costruisca muri con le persone più vicine. È un viaggio sentimentale, non una fredda cronaca, un viaggio in cui i sentimenti la fanno da padrone, si mostrano, si raccontano, quasi in maniera impudica. È appunto, il romanzo di una piccerè un po’ cresciuta che si rifiuta di lasciare a casa ‘o core. Per fortuna.