Jonathan Lee Il tuffo
BigSur, 2017 Narrativa Straniera | Romanzo
02/10/2017 di Corrado Ori Tanzi
Nell’ottobre di quell’anno una bomba squarciò non solo il Grand Hotel di Brighton, ma l’intero Paese. Piazzato giorni prima, l’ordigno venne preparato per dare il benvenuto all’arrivo proprio della Primo Ministro, attesa per il congresso di partito. «L'esplosione fu talmente forte da scagliare uno dei più stretti collaboratori della Thatcher fuori dalla finestra della sua stanza, spiaccicandolo al suolo. Io c'ero. Non dimenticherò mai quel momento», disse a Seba Pezzani (come riportato in un pezzo sul Giornale dello scorso 18 luglio) Michael Dobbs, autore di House of Cards e, all'epoca spin doctor del Gabinetto dell’allora inquilina del 10 di Downing Street.
La Thatcher sopravvisse, cinque suoi collaboratori di partito no. Il corollario finale registrò quaranta feriti. Venne accusato e dichiarato colpevole un membro dell’Ira, Patrick Magee, i cui otto ergastoli durarono tredici anni. Il ragazzo (all’epoca dei fatti appena diciottenne) venne scarcerato in virtù dell’accordo del Venerdì Santo del 1998 che l’Inghilterra si decise a sottoscrivere con l’organizzazione paramilitare cattolica irlandese per giungere alla cessazione delle ostilità.
Quel periodo e quei fatti fanno oggi parte de Il tuffo, terzo romanzo di Jonathan Lee, autore britannico di stanza da qualche anno negli States. Tre personaggi fittizi all’interno di una storia e un’atmosfera del tutto comprovate: Dan, il giovane volontario dell’Ira che si registra nell’albergo col nome di Roy Walsh; Moose, il vicedirettore dell’hotel, e Freya, la figlia adolescente di quest’ultimo, annoiata addetta alla reception.
La grandezza del romanzo riposa sull’abilità con cui è stata portata a termine la sua architettura narrativa e cioè il racconto precipuo del prima. La scrittura di Lee segue i preparativi dell’attentato gettando occhio e spirito sulla vita quotidiana dei personaggi, non priva di passaggi goffi, commoventi e involontariamente divertenti, in un progressivo aumento della tensione che non ha fonte esclusiva nel preparativo dell’atroce gesto di uno di loro. Margaret Thatcher rimane invece a latere. Un fantasma. Il suono di un nome, una presente assenza da cui tutto sembra aver inizio, il Mangiafuoco temuto e/o odiato senza il quale però non si riesce ancora a immaginare un presente.
Lee focalizza l’immagine del disastro che verrà, evento a cavallo tra la banalità delle ore che spendiamo nell’inconsapevolezza di essere vivi e il terrore inconcepibile di un’Apocalisse che gravita molto più all’interno della circonferenza delle nostre esistenze ordinarie. L’esplosione verrà, un intero nobile Paese ne giudicherà le conseguenze, ma all’autore importa fare luce sul “chi” rimane nell’ombra dei grandi eventi pur essendone testimone oculare e sul “come” questa vita che sfiora la Storia si alimenta giorno per giorno.
Come lo stesso scrittore ha ricordato: «C’è un’espressione usata dai tuffatori per indicare il lasso di tempo in cui stanno in aria prima di immergersi. Lo chiamano “il volo del tuffo”. A un certo punto ho capito che era quella la mia trama. Volevo mostrare il volo del tuffo a partire dal primo slancio – i piccoli gesti e le parole dai quali può scaturire un tentato omicidio – passando per tutti gli avvitamenti e le capriole, fino al momento irreversibile dell’impatto».
L’aver fermato quel lampo infinitesimale antecedente al disastro è la grandezza di questo giovane scrittore, che si porta nello zaino J.G. Ballard, ma che al momento discute con Jonathan Lethem su come Paul Auster sia riuscito a diventare Paul Auster.
Jonathan Lee, Il tuffo, Sur, 445 pagg, 18,50 euro
Corrado Ori Tanzi - https://8thofmay.wordpress.com