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Jonathan Bazzi Febbre
Fandango Libri, pp. 328, 18,50 euro Emergenti | Narrativa Italiana
14/07/2020 di Laura Bianchi
Lo sa bene Jonathan Bazzi, protagonista di Febbre, un'autobiografia provvisoria, ché tale si può definire, avendo l'autore trentacinque anni: età infida, in cui non si deve essere più considerati ragazzi, giovanissimi, ma che una tendenza attuale all'adolescentizzazione degli adulti porta a pensare che chi ne fa parte abbia ancora "tutta la vita davanti".
Nel mezzo del cammin di sua vita, invece, il rozzanese Bazzi, il bambino conteso fra due genitori adolescenti e quattro nonni molto diversi fra loro, il ragazzino mutante e introverso, educato più dalla zia quasi coetanea che dalla madre depressa, il ragazzo appassionato di tarocchi e pericolosamente borderline, maestro di ghosting, il giovane uomo consapevole, eppure ansioso, intraprende un percorso di conoscenza di sé, delle proprie radici, del proprio passato, conducendo il lettore attraverso i traumi, le speranze, le disillusioni di un'esistenza precaria, eppure che non si rassegna a seguire le vene d'oro nella miniera: la bellezza, l'arte, l'amore.
Il suo Bildungsroman è costruito dall'autore con un uso insistito della prima persona, come se non esistesse nessun altro punto di vista al di fuori del proprio; ma l'egotismo tipico dell'autobiografia, nei momenti più ispirati, lascia il posto ad ambienti, luoghi, mentalità, atteggiamenti, descritti con ficcante, impietoso realismo, con straniamento e partecipazione insieme, perché tale è il sentimento, ancora irrisolto, che anima Bazzi nei confronti di una famiglia, di un paese, di un'epoca amati e odiati, desiderati e respinti, il veleno e l'antidoto.
La prova di esordio ha portato l'autore in finale al Premio Strega, crediamo, proprio per l'equilibrio instabile che si percepisce fra le righe e nelle due dimensioni - passato remoto, e passato prossimo, che diventano entrambi presente della memoria rivissuta - della rievocazione autobiografica, più che per la prosa, scarna, paratattica, da sceneggiatura - e infatti Febbre diverrà un film - piuttosto che da romanzo, o, come usa dire oggi, autofiction.
Così, fra resoconti minuziosi e paranoici delle ossessioni di un bambino diventato adulto fra adulti infantili, slanci lirici ed evocativi - come nella rivisitazione del primo amore, non corrisposto, per Ernesto Anderle, illustratore di talento- e riflessioni introspettive, il racconto procede per giustapposizione, e, com'è inevitabile e giusto, mette in secondo piano le etichette di cui sopra. Il piccolo miracolo di Febbre si compie quando il lettore empatizza col narratore, e comprende di essere suo simile: una persona, appunto, con la stessa febbre di amore e di vita di chiunque. Perché, come scrive Bazzi, siamo dispositivi vivi che possono sempre ricombinare le contingenze.