Johan Cruyff

Johan Cruyff La mia rivoluzione - l`autobiografia


Bompiani, 2016 Biografie | sport calcio

12/10/2016 di Corrado Ori Tanzi
Non fu mai solo un calciatore. Neanche quando nel quartiere di Betondorp faceva ruzzolare il pallone in strada coi suoi amici imparando ad addomesticarlo contro tutte le asperità della strada. Johan Cruyff è stato da subito un’idea applicata al calcio. Una rivoluzione estetica, concettuale, morale, sociale, economica. Dimostrata al popolo dallo stesso autore. Per chi scrive, il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi. Re brasiliani o francesi e Ragazzi d’Oro argentini inclusi. Divino quanto George Best, ma ben più scaltro a sconfiggere i propri demoni rispetto al fuoriclasse irlandese.

Cruyff è stato un concentrato tra l’eleganza formale di Vermeer e l’esplosione solare di Van Gogh; il bagliore a distanza di quattro secoli del credo riformato del calvinismo applicato alla comunità sociale; la mente che, saggiamente consigliata dal suocero, applicò l’addizione e la moltiplicazione matematica in campo finanziario facendo di sé (e del team in cui giocava) il primo beneficiario.

Se n’è andato lo scorso 24 marzo all’età di 68 anni, sconfitto da un tumore al polmone. Dopo una carriera sempre ai più alti livelli, come calciatore, allenatore, dirigente. Di due squadre soprattutto. Ajax e Barcellona. Postuma esce ora la sua autobiografia, che ha per azzeccato titolo italiano La mia rivoluzione. Da declinare al plurale, visto che fuori dall’ambiente strettamente professionistico è stato capace di ideare, costruire e far funzionare la celebre fondazione che ne assume il nome impegnata con regole non convenzionali ad aiutare gli handicappati nello sport e nella vita e un istituto che promuove la disciplina sportiva tra i giovani.

Un doppio rivoluzionario Cruyff, come scrivono i due prefatori Federico Buffa (a suo tempo autore di uno special televisivo su Cruyff da ripassare a memoria) e Carlo Pizzigoni: con i piedi e con la testa. E questo testo è all’altezza dell’atleta e dell’uomo di cui parla. Cruyff ha sempre avuto, e non poteva essere altrimenti, un’altissima idea di sé e, pagina dopo pagina, quest’inclinazione fa capolino tra le righe. Ma ha ugualmente creato dal nulla situazioni impossibili e magiche con la semplicità di chi riteneva cosa ordinaria e naturale farne realtà. Pure questo trapela dalla sua parola scritta. Solo che la sua “semplicità”, per ovvie ragioni, non può coincidere col medesimo concetto della persona media.

Un uomo normale incapace di fare cose normali. Dentro e fuori dal campo. A partire dalla celeberrima “Cruyff turn”, la finta con la quale il giocatore si sporge leggermente in avanti accennando un movimento verso una direzione, colpisce il pallone facendolo passare dietro il piede d’appoggio per poi girarsi immediatamente e scattare verso la palla in direzione opposta alla precedente (l’interista Oriali ne seppe qualcosa nella finale di Coppa Campioni 1972). Eppure il suo calcio raffinato, esteticamente splendido, basato sulla rapidità dei movimenti e aperture impossibili, nonché battezzato da gol impensabili (andatevi a vedere la sbalorditiva rete che segnò all’Atletico Madrid il 22 dicembre 1973 che gli valse la definizione di “Olandese volante” ) è sempre stato un calcolo mentale per capire come sfruttare al meglio gli spazi davanti e battere gli avversari, perché il football, non smise mai di ripeterlo, è soprattutto questione di testa e si gioca col cervello ancora prima che coi piedi.

Dentro queste pagine non c’è solo la sua vita in sintesi. Una buona parte è un’autentica lezione di tattica calcistica. Interi passaggi su velocità di esecuzione, posizionamento, spostamento dei reparti in armonia col movimento dell’intera squadra, inserimenti negli spazi del singolo e occupazione della sua precedente posizione da parte di un compagno, distanze tra le linee mai superiori a una definita porzione di campo per garantire sempre la compattezza di squadra, capacità dell’allenatore nel creare un sistema di gioco che disinneschi la pericolosità avversaria. E infine le sue 14 regole di vita. Il suo numero magico, il 14. Che dovrebbe essere ritirato dal pianeta. Non tanto per serbare una memoria. Quanto per una questione di dignità personale e senso del ridicolo di qualunque giocatore di qualunque squadra.

 

Johan Cruyff, La mia rivoluzione, Bompiani, pagg. 240, euro 17

 

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