Jason Bailey Fun City Cinema – New York in un secolo di film
Jimenez Edizioni, 352 pagg., cartonato, 2022, Traduzione di Gianluca Testani, € 55,. Società | Attualità | Cinema
13/06/2022 di Laura Bianchi
Non poteva che essere stata scritta, in Hollywood Ending, da Woody Allen, il regista che ambientò a New York alcuni dei suoi film più famosi, una battuta che potrebbe essere posta a epigrafe di Fun City Cinema – New York in un secolo di film, lo splendido libro del critico cinematografico (New York Times, Vulture, Flavorwire, Village Voice) Jason Bailey.
Introdotto da un intervento dell'esperto di Wes Anderson Matt Zoller Seitz, il ponderoso volume, tradotto da Gianluca Testani per Jimenez Edizioni, si caratterizza per una scelta estetica rimarchevole: due colonne di testo, grandi immagini, manifesti dei film di cui viene trattata la genesi, fotografie dei protagonisti di più di un secolo di vita cinematografica newyorkese, corredano il contenuto storico, preciso nei dettagli, ampio nella contestualizzazione, ricco di curiosità che tengono desta l'attenzione del lettore, il quale ha modo di viaggiare nello spazio e nel tempo, attraverso una città - mito.
Questo libro ama New York. Ama i film ambientati a New York. Più di ogni altra cosa, individua e centellina la newyorkesità di New York, scrive nell'introduzione Zoller Seitz; e l'amore per il cinema e per New York, inscindibilmente intrecciati nelle centinaia di pagine del saggio, emerge nettissimo, da un racconto appassionante, coinvolgente, che sa rendere il lettore consapevole della poliedricità della Grande Mela, rivista e rivissuta dagli artisti che hanno contribuito a plasmarne il carattere nell'immaginario collettivo.
Dai primi fotogrammi di Herald Square (1896), regia di James H. White, a pagina 13, fino a Uncut jems (Diamanti grezzi), regia di Josh e Benny Safdie, 2019, Bailey approfondisce e sviscera ogni aspetto della storia d'amore fra New York e il cinema, accostandovi immagini delle trasformazioni dell'una e dell'altro, specchio di una società in continuo divenire, irrequieta, multietnica, multiculturale, melting pot, avanguardia di ogni tendenza globale futura. La politica non può restare fuori da questa narrazione; e infatti Bailey non esita a narrare anche i cambi di passo che hanno caratterizzato la città, e la nazione, in più di un secolo, dalle crisi economiche e finanziarie agli scontri etnici, dal disastro apocalittico dell'11 settembre ai contrasti fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri (mirabile il capitolo intitolato Ricchezza, Bohème e Frances Ha).
C'è, nella scrittura di Bailey, ottimamente resa dalla prosa snella di Testani, un'immediatezza che affascina e coinvolge, ma senza superflui svolazzi retorici, né ridondanze stucchevoli; i critici (una sempre caustica Fran Lebowitz, o un pacato William Grimes) vengono citati sempre in modo appropriato, e una ponderosa bibliografia dà modo agli appassionati di approfondire ogni aspetto analizzato.
Ma viene soddisfatto anche chi desidera solo, come si suol dire, "guardare le figure", poiché le foto di registi, attori, protagonisti della scena sociale e politica della città, si alternano ai fotogrammi dei film, in un dialogo incessante, stimolante e mai banale.
Il volume possiede poi un ulteriore pregio: fermare per sempre una città che non esiste più, per restituirla intatta al lettore, come viene scritto al termine dell'opera.
"L'inesorabile marcia del progresso può anche avere sradicato la New York dei vecchi tempi, la vivace, vibrante metropoli di immigrati, truffatori, freak, famiglie operaie, drag queen, artisti morti di fame. Quella New York leggendaria, esuberante e gioiosa ha fatto una bella vita, finché è durata. Ma è sparita, forse per sempre. Ma vive ancora nei film. Nei film, quella New York vivrà in eterno".
Per questo motivo, il bianco e nero di Manhattan di Allen costituisce forse l'icona più diretta, e più aderente, di una città che non dorme mai, ma che è sempre presente nei nostri sogni.