Graziano Graziani

Graziano Graziani Atlante delle micronazioni


Quodlibet, 2015 Società | Racconti

17/01/2016 di Alessandro Leone
Nell’uomo soggiace un’ambiguità di fondo. Esige una propria autonomia ma, in fondo, sa anche che è un animale sociale e in quanto tale non può esimersi dal rapporto con gli altri, attraverso cui sviluppa anche un meccanismo di inconsapevole sottomissione mascherata da reciprocità, che sia con un partner sentimentale, una città ed il ruolo che il cittadino ha nel suo paese. Ma c’è chi poi vuole riscrivere il suo ruolo secondo i propri dettami ed esserne assoluto padrone. Questa per molti è la libertà, una libertà che secondo altri può lederne altre. Se ne deduce quindi che la libertà sia soggettiva come in un certo senso tutto. Il pensiero e le ideologie degli schieramenti politici sono altrettanto soggettivi, tanto che oramai siamo abituati a considerare gli estremismi sulla base delle atrocità commesse.

Alcune di queste storie, raccolte da Graziano Graziani nel suo Atlante delle micronazioni (Quodlibet compagnia extra, 2015), nascono per scherzo e risultano alle sovranità talmente indifferenti che si convertono poco a poco in qualcosa di serio. Nella linguistica si coniò il termine idioletto per intendere una lingua autonoma ed alcuni sono pronti a sostenere che le lingue ufficiali, i dialetti siano differenti quanto differente è la lingua che distingue un individuo da un altro individuo. Succede lo stesso per il concetto di “stato”. Ogni persona è un individuo, una lingua, uno stato ma in uno stato-nazione diventa un numero, nella società consumistica diventa consumatore e perde identità.

Siamo sempre stati abituati, nella tanto agognata innocenza perduta dell’infanzia, ad immaginare un luogo soltanto nostro, inaccessibile. Gli altri bambini, compagni di giochi, potevano avere solo una solo visione di quel luogo, una percezione che ci permetteva di restare in contatto con loro, senza recidere i legami, ma al contempo isolandoci con la nostra fantasia. Poco importa se quel mondo era davvero “fantastico”, popolato da creature che non esistono, da prototipi di amici immaginari, dai personaggi o supereroi di cui credevamo fermamente l’esistenza, incapaci di suddividere il mondo tra reale, irreale o “surreale”. Anche questa, in fondo, era sempre libertà. La libertà del gioco.

Nell’Atlante delle micronazioni tornano questi elementi con scopi ben diversi tra loro. Nel personaggio di Joshua Norton, l’imperatore degli “Stati Uniti” con capitale San Francisco, la fantasia ed il reale collidevano con la differenza che, in età adulta, essere bambini è una “pazzia”. Ma quando la pazzia la si asseconda, tutti insieme, come comunità o meglio come individui nella comunità, si torna bambini, di nuovo tutti insieme. E poi chi l’ha detto che ogni pezzo di terra debba appartenere ad una nazione? Perché non sfruttare un triangolo di terra nel bel mezzo del Sahara per assecondare l’illusione di rendere mia figlia principessina di quel luogo, del Nord Sudan.

Forse il segreto nella vita sta proprio nel non prendersi troppo sul serio ma anche qui ognuno ha un suo personale concetto. Per il sovrano di Celestia, un territorio che comprende l’universo tranne la Terra, la sua nazione “può fornire abbastanza grandezza di pensiero e uno sdegno sufficientemente grande da far finalmente percepire le controversie internazionali come qualcosa di insignificante”. Insignificante come l’uomo è, assieme alle sue istituzioni, al cospetto dell’universo, per l’appunto. Poco importa se alcune di queste idee bollate come “strambe” possano risultare delle trovate pubblicitarie o trasformarsi inconsapevolmente in tali, oppure delle vere e proprie truffe come con “Poyais”. Fatto sta che episodi del genere suscitano sempre l’interesse di qualcuno che alla fine si ritrova magari anche con un passaporto in più. Che cos’è un’autorità suprema se ci priva del potere su noi stessi? E’ tutto così ambiguo, come l’uomo, ma ognuno dà e continua a dare la sua propria versione.