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Gianrico Carofiglio La misura del tempo
Einaudi, Stile libero Big, novembre 2019, pagine 288, 18 euro Giallo | Romanzo
28/08/2020 di Laura Bianchi
qui ).
Inoltre, chi scrive è totalmente digiuna di gialli, polizieschi, thriller, o meglio, legal thriller, come ha poi appreso essere la definizione corretta di questo genere. Doppia sorpresa, dunque, nel leggere un romanzo che sfugge consapevolmente a ogni etichetta, che può essere considerato un legal thriller solo in virtù del suo protagonista, ma che è denso di riflessioni filosofiche, di una profonda ricerca del senso della verità, di digressioni dolenti e ironiche alla Lawrence Sterne (citato, fra l'altro, proprio dal protagonista), di dialoghi a volte serrati, altre volte vicini all'incontro di due monologhi tendenti all'infinito, di minuziose e mai noiose descrizioni degli aspetti tecnici di un ambito, quello legale, troppo spesso incasellato in vieti luoghi comuni.
L'incontro fra Guido e Luciana, una donna con cui egli aveva avuto una storia trent'anni prima, e che lo cerca perché desidera che sia lui il difensore del figlio, finito in guai serissimi, è lo spunto per portare il lettore in un intreccio molto più complesso, nel quale passato e presente si alternano, e in cui il primo dà forma alle scelte del secondo, mentre il secondo ridefinisce il primo, spogliandolo dei suoi fantasmi, attribuendogli il ruolo che gli spetta. In tal modo, il tempo assume una misura propria, indefinibile da chi si ostini a volerlo controllare, molto più generosa per chi invece si disponga a lasciarsene stupire, in qualunque epoca dell'esistenza. Il tempo si innesta anche in uno spazio evocativo: i luoghi aperti della Bari di una vita, vissuta dall'interno dal protagonista, e quelli chiusi dello studio, dell'aula di tribunale, uguali ovunque, ma sempre diversi, perché animati dalle persone, che cambiano ruolo, forma e senso.
Ma esiste un altro tema che viene intarsiato all'interno di questo: il rapporto fra etica e giustizia, argomento caro anche al Carofiglio politico, studioso di diritto e di filosofia, e che viene trattato con lucida consapevolezza, con argomentazioni stringenti, con un'adesione ai fatti e ai documenti che avvince e appassiona anche chi sia estraneo al campo. Il privato di Guido e il pubblico dell'avvocato Guerrieri si avvitano in una dimensione umana profondissima, alla quale nessuno si sente estraneo, soprattutto dopo i fatidici cinquant'anni, quando si tirano le somme, ancorché provvisorie, di un percorso che dovrebbe essere all'insegna della coerenza.
Nella trama, dal finale sorprendente ed emblematico, Carofiglio è abilissimo a inserire una perfetta alternanza di ritmi e temi: sublime esempio di ciò è la lectio magistralis che Guerrieri tiene davanti a giovani magistrati, una digressione solo apparente, alla Manzoni, nella quale si cela invece uno dei messaggi più intensi del romanzo. Secondo Guerrieri (e Carofiglio), un magistrato deve evitare che le persone diventino fascicoli e carte e deve aver cura di mantenere una visione limpida della realtà, della pluralità dei punti di vista. "I conflitti giuridici riflettono spesso dilemmi morali, contrapposizioni fra modi diversi di vedere i valori e la loro gerarchia, e non dobbiamo dimenticare che le visioni del mondo cambiano molto velocemente", dice Guerrieri agli aspiranti magistrati. Il significato de La misura del tempo sta anche in questa inesausta ricerca, attuata dal Carofiglio pensatore, di dare forma, con precise parole, con nettezza e onestà, a una giustizia che venga sempre meglio plasmata dal tempo in cui essa viene applicata.
Iniziamo con una precisazione: chi scrive non ha mai letto nulla delle gesta dell'avvocato penalista Guido Guerrieri, notissima creatura (e in parte alter ego) del suo autore Gianrico Carofiglio. La scelta di leggere La misura del tempo, ultimo romanzo dello scrittore ed ex magistrato barese, è invece motivata dal suo secondo posto al Premio Strega 2020, dietro l'intenso Il colibrì di Veronesi (di cui è stato scritto Inoltre, chi scrive è totalmente digiuna di gialli, polizieschi, thriller, o meglio, legal thriller, come ha poi appreso essere la definizione corretta di questo genere. Doppia sorpresa, dunque, nel leggere un romanzo che sfugge consapevolmente a ogni etichetta, che può essere considerato un legal thriller solo in virtù del suo protagonista, ma che è denso di riflessioni filosofiche, di una profonda ricerca del senso della verità, di digressioni dolenti e ironiche alla Lawrence Sterne (citato, fra l'altro, proprio dal protagonista), di dialoghi a volte serrati, altre volte vicini all'incontro di due monologhi tendenti all'infinito, di minuziose e mai noiose descrizioni degli aspetti tecnici di un ambito, quello legale, troppo spesso incasellato in vieti luoghi comuni.
L'incontro fra Guido e Luciana, una donna con cui egli aveva avuto una storia trent'anni prima, e che lo cerca perché desidera che sia lui il difensore del figlio, finito in guai serissimi, è lo spunto per portare il lettore in un intreccio molto più complesso, nel quale passato e presente si alternano, e in cui il primo dà forma alle scelte del secondo, mentre il secondo ridefinisce il primo, spogliandolo dei suoi fantasmi, attribuendogli il ruolo che gli spetta. In tal modo, il tempo assume una misura propria, indefinibile da chi si ostini a volerlo controllare, molto più generosa per chi invece si disponga a lasciarsene stupire, in qualunque epoca dell'esistenza. Il tempo si innesta anche in uno spazio evocativo: i luoghi aperti della Bari di una vita, vissuta dall'interno dal protagonista, e quelli chiusi dello studio, dell'aula di tribunale, uguali ovunque, ma sempre diversi, perché animati dalle persone, che cambiano ruolo, forma e senso.
Ma esiste un altro tema che viene intarsiato all'interno di questo: il rapporto fra etica e giustizia, argomento caro anche al Carofiglio politico, studioso di diritto e di filosofia, e che viene trattato con lucida consapevolezza, con argomentazioni stringenti, con un'adesione ai fatti e ai documenti che avvince e appassiona anche chi sia estraneo al campo. Il privato di Guido e il pubblico dell'avvocato Guerrieri si avvitano in una dimensione umana profondissima, alla quale nessuno si sente estraneo, soprattutto dopo i fatidici cinquant'anni, quando si tirano le somme, ancorché provvisorie, di un percorso che dovrebbe essere all'insegna della coerenza.
Nella trama, dal finale sorprendente ed emblematico, Carofiglio è abilissimo a inserire una perfetta alternanza di ritmi e temi: sublime esempio di ciò è la lectio magistralis che Guerrieri tiene davanti a giovani magistrati, una digressione solo apparente, alla Manzoni, nella quale si cela invece uno dei messaggi più intensi del romanzo. Secondo Guerrieri (e Carofiglio), un magistrato deve evitare che le persone diventino fascicoli e carte e deve aver cura di mantenere una visione limpida della realtà, della pluralità dei punti di vista. "I conflitti giuridici riflettono spesso dilemmi morali, contrapposizioni fra modi diversi di vedere i valori e la loro gerarchia, e non dobbiamo dimenticare che le visioni del mondo cambiano molto velocemente", dice Guerrieri agli aspiranti magistrati. Il significato de La misura del tempo sta anche in questa inesausta ricerca, attuata dal Carofiglio pensatore, di dare forma, con precise parole, con nettezza e onestà, a una giustizia che venga sempre meglio plasmata dal tempo in cui essa viene applicata.