Fulvio Cortese E Francesco Berti

Fulvio Cortese E Francesco Berti Pro Armenia - Voci ebraiche sul genocidio Armeno


Giuntina 2015 Saggi | Saggi

01/05/2015 di Eliana Barlocco
Proprio in questi giorni ricorre il centenario del Genocidio Armeno perpetrato ad opera del governo dei Giovani Turchi. Probabilmente la ricorrenza sarebbe passata quasi senza grande clamore mediatico se, uno dei pochi uomini di potere illuminati in circolazione, usando volutamente e specificatamente il termine Genocidio accostato alla tragedia armena, non avesse alzato un polverone scatenando la reazione indignata di un governo turco sempre più ottuso e verso il passato e verso il presente.

Il libro, di cui consiglio la lettura sia ai neofiti del tema che agli esperti, Pro Armenia è una raccolta breve di testimonianze scritte proprio a ridosso dei massacri da voci tutte ebraiche. Sono quattro testimonianze ognuna con un proprio taglio e una propria peculiarità nell’approccio alla questione armena.

Lewis Einstein (diplomatico americano), scrive nel 1917 ponendo l’accento sull’efferatezza della pulizia e dei metodi adottati per portarla a termine. André Mandelstam (diplomatico ed esperto in diritto internazionale), nel 1918 fa un’analisi del popolo turco e della sua natura attraverso le vicende storiche. Aaron Aaronsohn (agronomo), nel 1916 descrive con toccante partecipazione sua e della sorella Sarah (che ne rimarrà per sempre segnata) i massacri. Scrive: “Schiavi della disciplinai tedeschi a cui era stato comandato di prestare servizio nella zona del massacro, videro le atrocità, provarono sdegno, ma non fecero alcuna mossa per fermarlo” . Il coinvolgimento passivo non è forse sinonimo di colpevolezza? E ancora “i massacri armeni sono frutto dellazione pianificata con cura dai turchi, e i tedeschi certamente dovranno per sempre condividere con loro linfamia di questa azione”. Raphael Lemkin (colui che ha coniato il termine genocidio) tratteggia i tentativi vani delle Potenze di risolvere diplomaticamente tali conflitti a partire dall’epoca del sultano Hamid II.

Quattro voci, un unico fine: quello della denuncia, dell’indignazione, della paura di lasciare inascoltate e di conseguenza impunite storie di sofferenza. La citazione tratta dal Levitico con cui si apre il libro: “Non restare inerte davanti al sangue del tuo prossimo” diviene un monito a non lasciare trascorrere ancora 100 anni prima di avere la capacità di riconoscere e soprattutto di denunciare le mattanze che quotidianamente ci riempiono gli occhi.