Flavio Caprera

Flavio Caprera Franco D’Andrea. Un ritratto


EDT, 2021, pp. 232, Euro 20 Biografie | Musica

13/04/2021 di Franco Bergoglio
Non è ovviamente un caso che Franco D'Andrea. Un ritrattoil libro-ritratto dedicato a Franco D’Andrea provenga dalla penna di Flavio Caprera, uno dei giornalisti più attenti nel raccontare il panorama jazz italiano. Il compositore e pianista D’Andrea, approdato in questi giorni al traguardo degli ottant’anni, ha vinto nella sua lunga carriera una montagna di premi (con Enrico Rava deve aver collezionato più Top Jazz di chiunque!), a testimonianza di una duratura attenzione della critica e di una costante ricerca di nuovi stimoli. D’Andrea si conferma, anno dopo anno, un punto fermo del jazz nostrano.

Come ha scritto nella prefazione al libro, edito da EDT - Jazz, lo stesso Rava (suo sodale in mille avventure), di questo grande artista potremmo dire: “genio e regolatezza”. D’Andrea ha saputo mantenersi costantemente creativo negli anni; capace di non fermarsi a una singola formula artistica soddisfacente, ma di modificare la propria musica, di sperimentare nuove combinazioni e organici. Per questo il libro ripercorre con D’Andrea una buona parte delle vicende del jazz italiano dal dopoguerra a oggi. Troviamo gli inizi, con un jazz ancora pesantemente indebitato verso i modelli americani e D’Andrea che si districa tra Bill Evans e McCoy Tyner, poi il trasferimento a Roma, dove negli anni Sessanta si sta sviluppando una scena interessante, con passaggio di musicisti internazionali come Gato Barbieri, al quale nel volume sono dedicate diverse pagine. Siamo negli anni in cui il jazz si sposta tra hard bop e free, mentre parallelamente cresce una via europea al jazz che incorpora anche il rapporto con le altre arti, come capita per Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, con la colonna sonora affidata proprio a Barbieri e collaborazione del pianista.

Questa fase di fermento è punteggiata dal Modern Art Trio, con il quale D’Andrea, Franco Tonani e Marcello Melis avviano un progetto di improvvisazione radicale con agganci alla musica euro-colta. Il Modern Art Trio non a caso sboccia nel 1968: anni creativamente turbolenti, avanzati, inquieti. A questa fase succede la svolta jazz-rock, quella che proietta D’Andrea sulla scena internazionale con il gruppo Perigeo. Parentesi importante e spartiacque di una lunga carriera. D’Andrea uscirà dai Perigeo per riprendere un percorso jazzistico più rigoroso, punteggiato di grandi incontri (tra i tanti ovviamente Enrico Rava, Lee Konitz, Aldo Romano, Phil Woods, Dave Douglas, Tony Scott, Han Bennink) e dei primi gruppi come opera da leader.

Sono gli anni più ricchi di avvenimenti: l’attività come docente, gli approfondimenti tecnici (come gli studi pubblicati sulle aree intervallari), le riletture dell’opera di Monk o Ellington, gli omaggi a Bix o Armtrong. A corollario di un lavoro che come orizzonte ha una visione complessiva della storia del jazz, va segnalato un ruolo -simile a quello svolto da Rava- da talent scout per i nuovi talenti italiani (Attilio Zanchi, Aldo Mella, Andrea Ayassot, Daniele D’Agaro) che con lui avranno la possibilità di raggiungere un pubblico più ampio. Approdato agli ottant’anni -e a quella che Caprera definisce una “nuova giovinezza”, con un susseguirsi di dischi a livelli creativi altissimi- D’Andrea si conferma uno dei più importanti musicisti che l’Europa ha dato al jazz.

D’Andrea con umiltà rovescia il concetto, riportando la musica al centro: come per molti della sua generazione è stato l’incontro con il jazz ad accendere le polveri, a suscitare una voglia di fare musica fuori dai canoni del vecchio continente, di sperimentare, di crescere artisticamente. Per come la vede il maestro, il jazz: “È una sintesi potente di culture. È anche un esempio di convivenza umana e non soltanto musicale”. Una formula semplice che da cento anni, nelle mani giuste, ci regala arte e bellezza.