Fëdor Dostoevskij

Fëdor Dostoevskij Memorie dal sottosuolo


Einaudi, 2002, € 8,00

di Simona
UN DOSTOEVSKIJ RAPIDO, NERVOSO, INCISIVO

Il sottosuolo evocato dal titolo non descrive tanto una condizione sociale, seppure meschina, ma rappresenta invece l’anima dell’io narrante. Le “memorie dal sottosuolo” costituiscono una narrazione nervosa e veloce, e inducono lo stupore un po’ banale di quanto il tempo non conti e di come l’anima umana sia sempre la stessa, le ferite sempre uguali, le nevrosi ripetitive, la cura per i travagli dell’uomo introvabile. Il sottotitolo di questo romanzo, rivelatore, è “storia di una nevrosi”. E qui Dostoevskij, maestro nell’indagare gli istinti più neri dell’uomo, è più spietato che mai. L’io narrante è tremendamente cinico ma anche meschino, alternativamente masochista nel perseguimento di situazioni incresciose e sadico nel provocare sofferenza. Rabbioso, sporco e senza soldi, caparbiamente autoinvitatosi a una riunione di vecchi compagni universitari, condurrà consapevolmente la serata verso un epilogo vergognoso e umiliante per lui.

< …No, è meglio che resti qui fino alla fine – continuavo a pensare. Voi sareste contenti, signori, che me ne andassi. Neanche per sogno. Apposta resterò qui a bere fino alla fine per dimostrarvi che, per me, non avete la minima importanza. Resterò qui a bere perché questa è un’osteria e io ho pagato la mia parte. Resterò qui a bere perché vi considero marionette, marionette prive di vita. Resterò qui a bere… e a cantare se vorrò, sì, anche a cantare, perché ne ho il diritto…a cantare…Mm. – Ma non cantai.>

Il protagonista incontra poi una giovanissima prostituta; prova un sentimento di tenerezza per lei ed è consapevole che essa rappresenta la possibilità di una nuova vita per lui. Tuttavia agirà contro questa possibilità, da una parte soffrendo ma dall’altra malignamente compiacendosi di avere causato dolore alla ragazza offendendola profondamente.

<…Così fantasticavo quella sera, a casa, morendo quasi dal male all’anima. Mai avevo sopportato una tale disperazione e un tale rimorso. Ma poteva esserci il minimo dubbio che a metà strada non sarei tornato a casa, quanto ero corso fuori in cerca di Liza?>

Il libro è suddiviso in due parti: la seconda descrive minuziosamente questi due episodi della vita dell’io narrante, la prima è una sorta di monologo interiore in cui il protagonista riversa tutto il suo livore e la rabbia nei confronti del mondo:
< Io sono un uomo malato…astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di fegato.(…) No no, io non voglio curarmi per rabbia (…) so meglio di chiunque che in questo modo danneggio unicamente me stesso e nessun altro, eppure, se io non mi curo, è solo per rabbia.>

I protagonisti dei libri di D. sempre sembrano avvinti da un fato invincibile, ma in realtà è l‘anima a determinare il loro destino. L’autore russo è il primo che si occupa così tanto dell’anima dei propri personaggi e oggi possiamo dire che in realtà egli, a modo suo, intuì l’importanza di un aspetto della personalità degli esseri umani che pochi anni più tardi Sigmund Freud rivelò trattarsi di un elemento sì oscuro, ma analizzabile e conoscibile, ossia l’inconscio. Dostoevskij, ancora senza saperlo, indaga l’inconscio rappresentando e scandagliando tutte le pulsioni, le inclinazioni e le tensioni dell’individuo interessandosi soprattutto ai lati più oscuri. Al sottosuolo, appunto. Certo l’opera di D. non scioglie il dilemma dell’animo umano. Del resto non ci sembra che la letteratura debba dare spiegazioni o soluzioni ma piuttosto analizzare e rappresentare, così da aumentare implicitamente la conoscenza di sé. Non aspettiamoci formule da applicare o ricette da seguire. Non ci sono mai risposte ma solo nuove domande.

<…Quanto alla mia opinione personale amare solo il benessere lo considererei perfino sconveniente. (…) Io non è che sostengo i valori della sofferenza, ma neanche quelli del benessere. Io mi batto…per il capriccio, e per la garanzia che mi sia garantito, quando ne avrò voglia. (…) Fra l’altro io sono convinto che alla vera sofferenza l’uomo non rinuncia mai. La sofferenza è l’unica fonte di consapevolezza. E sebbene all’inizio io abbia ammesso che la consapevolezza è la più grande disgrazia per l’uomo, io so però che l’uomo l’ama e non la scambierebbe con nessun genere di soddisfazione.>

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