Fabio Paolo Costanza Tumorati di Dio
Bookabook, 2022, 159 pp, 14 euro Narrativa Italiana | Romanzo
27/06/2022 di Laura Bianchi
Viviamo in un'epoca algida, quasi anestetizzata: i social ci spingono a disegnarci un avatar sempre sorridente; quando ci incontriamo, non poniamo una domanda aperta, "Come stai?", ma "Tutto bene? Tutto a posto?", perché non vogliamo davvero domandare, ma chiedere una conferma della salute, fisica o mentale, del nostro interlocutore. Soprattutto in alcuni ambienti, come quello musicale, o della comunicazione, sembra ormai essenziale mostrare un sé efficiente, in splendida forma, mai malato né fragile. L'irrompere del Covid ha solo incrinato la facciata, per poi venire spazzato via da una nuova ondata pandemica di benessere, energia ritrovata, fitness e salutismo.
La malattia non è quasi mai citata, o, se lo è, è mostrata in toni competitivi, come se il nostro io dovesse ingaggiare con essa una maratona dalla quale uscire vincitore. Non è possibile mostrarsi bisognosi di cure, soprattutto se si è giovani. Ci vuole coraggio, quindi, per affrontare la tematica delle malattie cosiddette incurabili, pietoso eufemismo per dire "tumore maligno", e per raccontarla con lucidità, senza pietismi, con fermezza e sensibilità insieme.
Ci riesce Fabio Paolo Costanza, in un romanzo narrato in prima persona, che di disturbante e molto poco social friendly ha perfino il titolo: Tumorati di Dio, caustico calembour, per indicare l'esistenza di persone colpite dal cancro, morituri, condannati senza processo, che rivendicano per sé uno spazio, una voce, una vita.
Nel suo romanzo di esordio, l'autore, imprenditore culturale e musicale attivo a Milano, inserisce una parte del mondo che ben conosce da vent'anni, e fa parlare un suo alter ego, Gabriele, trentaseienne promoter musicale, dall'infanzia e dall'adolescenza segnate dalla tendenza a una profonda introversione e da un rapporto contraddittorio sia coi genitori, senza luce negli occhi, sia col fratello, molto maggiore di lui, che ha lasciato Milano senza più tornarvi, per vivere sul lago Michigan con la moglie americana.
Reduce da una storia importante con la fotografa polacca Johanna, Gabriele si trova anche ad affrontare una sentenza definitiva e implacabile, pronunciata da un dottore saccente e anaffettivo; da quel momento, comprende che la propria vita, prima di finire, ha bisogno di essere definita, fissata dal ricordo, e intraprende, a soli trentasei anni, una rievocazione che solo gli anziani si potrebbero invece permettere.
La forma del memoir diviene così per Gabriele il mezzo con cui dare consistenza a una successione di eventi autobiografici solo apparentemente irrelati e casuali, di cui conta non la verità fattuale, bensì quella emotiva. Vediamo Gabriele alle prese con l'infanzia in una dimensione dimessamente domestica, con le vacanze estive e i loro estenuanti viaggi con gli altri tre familiari, chiusi nell'abitacolo dell'auto, senza comunicare; lo seguiamo nelle sue esperienze lavorative; partecipiamo alla sua educazione sentimentale, in un flusso di ricordi, in cui lontano passato e presente immediato si sovrappongono e si intrecciano, senza però mai giustapporsi, con una colonna sonora lunga decenni, da Lou Reed a Cyndi Lauper, da Joni Mitchell a Michael Jackson, e in una Milano dall'equilibrio fragile come chi la abita.
Costanza rivela un sicuro ritmo narrativo, nel tenere insieme i diversi piani spaziali e temporali, in modo che il lettore non si senta mai spaesato, ma colga i nessi profondi fra i ricordi, e apprezzi le divagazioni di tipo sociale o filosofico, che donano ulteriore spessore al racconto e formano l'identità pensosa e vagamente esistenzialistica del personaggio, rendendone verosimili le reazioni, in un confronto costante fra morte e vita: si leggano, ad esempio, le pagine 102 e 103, cruciali per comprendere lo spirito dell'opera.
Altrettanto originale è la conclusione, che mette a fuoco la vera ricerca di senso del protagonista: una vita, lunga o breve che sia, merita di essere ricordata solo se, nel suo corso, si forgiano ricordi autentici, che vale la pena raccontare.