
Ernesto Assante Woodstock `69. Rock revolution. Ediz. illustrata
White Star, 2018 Musica
07/02/2020 di Franco Bergoglio
Perché questo libro? Perché grazie alle sue tante immagini e al vivido racconto di Ernesto Assante, il mito di Woodstock si smonta nei suoi singoli momenti e si rimonta in un fantastico quadro collettivo. Un affresco dove accanto agli eroi conclamati: Hendrix e l’inno americano bombardato, Joe Cocker che agita scomposto le braccia urlando la sua canzone, un Santana dal viso adolescenziale (ma già molto Santana), si dipana -foto dopo la foto e riga dopo riga- l’altra Woodstock: a partire dal guru Swami Satchidananda che predica al pubblico durante le prime ore di kermesse: “la musica è un suono celestiale ed è il suono che controlla l’intero universo, non le vibrazioni atomiche”. Un parallelo mistico religioso che tiene insieme le good vibrations californiane, i Beach Boys e le elucubrazioni cosmiche di Sun Ra.
Ci sono i nomi oggi parzialmente dimenticati come Melanie, Arlo Guthrie, John Sebastian e la damnatio memoriae di coloro che non compaiono nel film come Keef Hartley o The Band, il super gruppo che a Woodstock ha suonato da par suo, ma, non avendo voluto il loro manager firmare la liberatoria per disco e film, è uscito dal quadro. Soprattutto tra i bellissimi scatti il vero soggetto è il pubblico, donne e bambini che giocano, abbracci nella pioggia, scene di vita quotidiana di un festival di amore e fratellanza. Un festival che troppo spesso chiudiamo nel recinto dei luoghi comuni della pop culture (si dice di 3 giorni, ma in pratica furono 4, non fu spontaneismo giovanile, ma -almeno nelle intenzioni degli organizzatori- una impresa commerciale, con tanto di biglietto), che non è spuntato dal nulla come piacerebbe ai media desiderosi di semplificare per spacciare meglio dischi, gadget e amarcord.
Woodstock ha salde origini nella poesia beat degli anni Cinquanta, nella controcultura californiana anni Sessanta, nei momenti di protesta degli studenti, nei grandi raduni hippie di San Francisco, nel movimento psichedelico, nella prova generale di Monterey, nei gruppi più politicizzati che volevano davvero cambiare il Paese. Il capitolo introduttivo, ricco come gli altri di informazioni e fotografie, ricostruisce anche questa parte, riportandola meritoriamente al centro di una scena che aveva perduto. A Woodstock c’era anche il leader dei contestatori più duri, Abbie Hoffman e fu lui a dare un nome a quella colorata massa di persone che voleva vivere (anche se durò poco), fuori dalle regole del mondo adulto. La chiamò Woodstock Nation. Chiudiamo idealmente con le parole di Assante che aprono il volume: “un sogno, un mito, un’esagerazione, una realtà, una leggenda”.
Franco Bergoglio lo trovate anche qui:
https://magazzinojazz.wordpress.com/