Ermal Meta

Ermal Meta Domani e per sempre


La nave di Teseo, collana Oceani, 2022, pp. 546, 19 euro. Romanzo | Narrativa Italiana | romanzo storico, romanzo di formazione, guerra, azione

09/08/2022 di Ambrosia J. S. Imbornone
Il cantautore Ermal Meta, dopo aver pubblicato quattro album da solista, aver vinto nel 2018 il Festival di Sanremo in coppia con Fabrizio Moro e aver raggiunto un quinto posto all’Eurofestival, durante il lockdown ha avuto modo di realizzare un altro progetto e sogno, quello di scrivere un libro, atteso e pubblicato da Elisabetta Sgarbi per la Nave di Teseo.

L’artista albanese, naturalizzato italiano, ha debuttato come scrittore affondando nelle pagine più buie della sua terra d’origine: il suo è infatti un lungo romanzo storico e di formazione, molto documentato, che in sei parti e 28 capitoli (più un epilogo) segue il protagonista Kajan in una geografia precisissima di luoghi tra Albania, Germania e Stati Uniti, in un arco temporale che va dall’inverno del 1943, durante la Seconda guerra mondiale, fino alla primavera del 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino, passando per la guerra fredda e la dittatura del mai menzionato esplicitamente Enver Hoxha. Quello di Kajan non è un percorso lineare, ma circolare, in una parabola avventurosa e malinconica, che include guerra, amore, musica (Kajan diventa infatti un pianista), azione e spy-story, componenti in perfetto equilibrio per una narrazione avvincente, che sa addentrarsi in pagine molto crude con realismo, senza compiacimento per violenze o dettagli macabri, ma rivela anche e soprattutto la nota sensibilità dell’autore, con metafore e descrizioni che portano la sua chiara impronta e apportano soffi di poesia e ulteriore profondità al romanzo. Non mancano poi alcune pagine d’amore, non molte nell’economia del tutto, non tante da renderlo sdolcinato o da virare verso altri generi (ad esempio young adult), ma ispirate.

Domani e per sempre è molto ben strutturato, tra colpi di scena e turning point, illustrati e illuminati poi in appositi flashback, anticipazioni sinistre che creano suspense e uno spessore storico notevole: appare infatti molto utile che un nome così apprezzato dal grande pubblico abbia raccontato gli orrori quotidiani che accadevano al di là della cortina di ferro; nell’Europa occidentale nel quotidiano si guardava ben poco a ciò che accadeva nell’Est, a scuola si nominavano quasi a bassa voce quei paesi che erano gli “altri” rispetto al “noi” capitalista, il nemico del blocco sovietico da cui non prendere esempio, mentre si sospirava sognanti, guardando al modello statunitense. E i più giovani di oggi, se hanno visto qualche film sui lager nazisti, sanno sicuramente pochissimo sulla guerra fredda USA-URSS che ha diviso in due il mondo. “America” invece in Albania era sinonimo di caos e di una situazione fuori controllo; questo romanzo ci ricorda allora “quarantacinque anni di prigionia totale ai danni di un popolo la cui unica colpa era stata desiderare qualcosa di meglio per il proprio futuro”. Sperare di poter avere una vita migliore, immaginare un futuro diverso o anche solo pensare liberamente, persino dire una barzelletta o riderne era molto pericoloso nella terra delle aquile, come in generale nell’Europa orientale, e poteva portare facilmente all’accusa di propaganda sovversiva e tradimento come nemici della patria e quindi a torture e sofferenze inenarrabili, che invece Meta ha provato ed è riuscito a raccontare in modo vivido ed efficace.

Nella prima parte del romanzo ci sono a tratti legami di parentela non tanto semplici da seguire, mentre nella quinta c’è qualche coincidenza meno credibile, ma il caso può essere considerato un altro protagonista dell'opera, che dimostra come anche trovarsi in una strada o in un bar in certo momento potesse essere pericoloso e determinare conseguenze ineluttabili, in una fitta e drammatica catena di eventi. D’altronde “Niente è come sembra qui, nemmeno l’amicizia”, impara a sue spese il protagonista a Berlino Est: egli incontra infatti nel suo cammino molti aiutanti, ma anche personaggi ambigui e il ruolo di amici e nemici si confonde spesso in modo inaspettato, mentre alcuni carnefici sono anche vittime di un meccanismo disumano di cui devono essere esecutori irreprensibili per non subire e non vedere i propri cari subire quello che infliggono ad altri. Kajan non è comunque solo travolto dalla storia e dalle perdite che subisce nel tempo: compie anche delle scelte, come quando, dopo l’ennesimo colpo della sorte, lascia un luogo comunque sicuro per cercare nuovamente “qualcosa per cui vivere, qualcosa per cui morire”.

Domani e per sempre è lungo, dettagliato, tanto da dar l’impressione di vedere strade, campagne, appartamenti e celle, ma è anche scorrevole; il libro immortala eventi e luoghi con una scrittura sobria, precisa e incalzante, spesso quasi cinematografica (non a caso sono stati già opzionati i diritti cinematografici da Carlo degli Esposti della Palomar per trasformare il romanzo in una serie televisiva).

Il libro, che segna il debutto come scrittore di Meta, è inoltre un implicito potente monito per il futuro contro ogni guerra, sia quella dove “il nemico, almeno, si poteva affrontare sul campo”, sia quella che si viveva in un regime spietato che non bruciava più città e villaggi, ma controllava e distruggeva le vite, per cui “sapere era pericoloso, il libero pensiero era sovversivo, lamentarsi in pubblico del poco cibo che arrivava a tavola era un affronto diretto al partito”. Allo stesso tempo, appunto, il romanzo è anche un tuffo in un passato poco noto, dimenticato o ignorato e affogato nei pregiudizi xenofobi di chi preferisce discriminare, anziché chiedersi quali siano le storie delle persone dietro ai numeri dell’immigrazione del passato, quali siano le storie di quei “figli di un tempo ferito, che il tempo non ha potuto ferire”, di cui si parla nella dedica iniziale.

La prima opera narrativa dell'artista quarantunenne è un pugno nello stomaco e una carezza, turba nei momenti più tragici e sanguinosi e commuove nelle pagine più delicate, come quelle dedicate al rapporto nonno-nipote; molto ispirate ovviamente anche le parole sulla musica, che torna a più riprese nella storia, tra i primi studi durante la guerra, grazie all'incontro con il soldato tedesco Cornelius, e concerti in vari contesti, da una musica malinconica che rende l’anima di Kajan bambino “più ampia, più profonda. Uno stagno che diventava mare” fino a Chopin, dai virtuosismi del trittico Gaspard de la nuit di Ravel fino al jazz, “un tentativo di fuga della bellezza dalle braccia della miseria. A piccole dosi, a piccoli passi”.

A proposito di musica, “Amara terra mia”, cantava Meta a Sanremo 2017, in un’interpretazione struggente del brano portato al successo da Modugno, e la sua Albania appare qui descritta e narrata appunto con amore e amarezza, con le sue colline “che in primavera brulicavano di farfalle”, ma anche come “terra maledetta che non riusciva a proteggere i loro figli da uomini malvagi che lei stessa aveva partorito”: “amara terra mia / amara e bella”.