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Enrico Merlin, Veniero Rizzardi Bitches Brew La musica di Miles Davis 1967-1970
Il Saggiatore, 2022, pp. 432, 32 euro Saggi | Musica
05/12/2022 di Franco Bergoglio
L’affermato critico jazz Ralph J. Gleason, uno dei pochi accettati dal sempre sospettoso Miles Davis, si era lamentato in modo brusco per qualche ritardo nella consegna del nastro per il pre-ascolto di Bitches Brew e la risposta piccata di Teo Macero getta la giusta luce su questo libro e i personaggi che racconta. “Caro Ralph, hahaha molto divertente!!! (...) Miles ha passato tutto il pomeriggio con me ieri (a lavorare proprio al montaggio di Bitches Brew, n.d.a.). Avrò anche ucciso il
jazz, ma intanto ho costruito un nuovo genere di musica. Tu che cosa hai fatto ultimamente?”
Lasciando da parte la sprezzante risposta del musicista-producer e braccio destro di Miles, Teo Macero– anche se sarebbe interessante approfondire il ruolo della critica jazz nel processo creativo –, quella frase secca la dice lunga su quale fosse il livello di consapevolezza di Davis e dei suoi più stretti collaboratori all’indomani dell’uscita dello storico doppio album Bitches Brew. Siamo nella primavera del 1970, le onde di Woodstock si stanno ancora diffondendo nel mondo che si accende di festival qua e là e Miles fissa lo standard per un genere nuovo, la fusione tra jazz e rock. Un trattino che vale anni di musica a venire e tante carriere fortunate, quasi tutto costruito sulla visione del divino Miles.
Uno dei tanti valori aggiunti di questo volume è la ricchezza documentaria: se, ad esempio, volessimo seguire le vicende delle note di copertina affidate a Gleason che avevano costituito la causa dell’aneddoto iniziale con relativo scambio epistolare, scopriremmo che Teo Macero non aveva poi approvato la richiesta di 200 dollari come compenso avanzata dal critico, mentre il presidente della Columbia Records Clive Davis in contemporanea andava magnificando l’importanza degli articoli che costui stava scrivendo a favore di Miles, che stava diventando, anche grazie a quella buona campagna stampa, un eroe della emergente controcultura bianca a fianco dei musicisti rock.
Potremmo concludere le nostre riflessioni sul tema anche confrontando questa richiesta con l’onorario di 255 dollari corrisposto ad ogni musicista della session. Per qualcuno le note di copertina valevano quasi quanto quelle suonate da un turnista (evidentemente Macero, nell’anima un musicista, non era d’accordo). Dicevamo della mole di informazioni messa a disposizione, ma non solo. Merlin e Rizzardi avanzano continuamente spiegazioni, interpretazioni e smontano il disco e tutto quanto lo precede, lo segue, gli gira intorno.
È affascinante come i due autori abbiano analizzato al microscopio il montaggio del disco che prevede tagli nell’esecuzione e ricombinazione dei materiali con un procedimento che ha tanto del cinematografico. I brani di Bitches Brew sono come capitoli dei film e temi o soli corrispondono alle singole scene o parti di girato. Quella tra il produttore/compositore/musicistaTeo Macero e il musicista / compositore / produttore aggiunto Miles Davis è stata una prassi che per anni non ha avuto termini di paragone nel jazz. Qui la vediamo smontata da mani esperte e questo amplifica ulteriormente la magia del lavoro.
Ovviamente il punto di forza del volume è la competenza, la passione, l’amore per il dettaglio -anche il più piccolo - con il quale Merlin e Rizzardi ci fanno entrare nel mondo creativo di Miles. Eppure, cosa non scontata, leggendo ci si diverte parecchio. Ci sono gli amori, le follie e le intemperanze del divino trombettista, lo scherno verso i musicisti che non ama. Viene riportato per intero il blindfold test (ascolto di brani altrui alla cieca e successivo commento) condotto da Leonard Feather e pubblicato sulle pagine di Down Beat nel 1968.
Nell’occasione Miles non si rivela tenero con nessuno, ma si supera su Sun Ra (“Vuoi dirmi che in giro c’è qualcuno così? Neanche i bianchi sono così scarsi”), ci sono strali verso il free e anche il mainstream. Dell’orchestra di Thad Jones/Mel Lewis dice: “Se fosse mia non potrei mai sopportare una band come
questa. Mi farebbe sentire come se fossi veramente a terra o stessi portando delle mutande che non sono mie...”.
Ci si diverte e si assorbono illuminanti dettagli. Facciamo un esempio. Il fatto che Miles fosse ossessionato dalla canzone Spinnin’ Wheel dei Blood Sweet and Tears, citata a più riprese nel solo del title track di Bitches Brew, non ha solo motivazioni musicali che vengono puntualmente spiegate con i minuziosi rimandi al solo di tromba, ma riguarda anche il fatto che il gruppo è uno degli elementi di punta
della Columbia e Davis è intenzionato a contendete palmo a palmo ogni centimetro di influenza sul nuovo enorme pubblico che si sta formando, dove i confini di rock e jazz sono sfumati.
Mi rendo conto che non ho tanto recensito, quanto dialogato confusamente con questo libro bellissimo e brulicante, alla seconda edizione. Profetizzo che ne vedrà altre e invecchierà con l’immortale cinquantaduenne brodo di cagne/Bitches
Brew.
Universo Miles Davis, anno terrestre 1970.