Enrico Deaglio

Enrico Deaglio Storia vera e terribile tra Sicilia e America


Sellerio, 2015 Narrativa Italiana | Narrativa | storico

11/06/2015 di Corrado Ori Tanzi
Al principio fu una capra. Forse. Così disse e scrisse la vulgata del tempo e del luogo. Una capra uccisa dal coroner di Tullalah, virgola di terra piazzata sulla cartina del Mondo Nuovo che ancora odorava tanto del Vecchio. Trecento chilometri più a sud e si incontra New Orleans. L’ammazzamento di una capra che aveva sforato i confini, la susseguente uccisione dell’uccisore e il finale con la cattura e il linciaggio di cinque persone. Cinque italiani che da Cefalù erano sbarcati in America, commercianti di frutta e verdura. Due in quanto ritenuti colpevoli diretti, e tre in quanto comunque della stessa famiglia. Cinque strange fruit per dirla alla Billie Holiday. Non negri. Siciliani. Quindi negroidi. Quasi simili alla gente comune e normale. Quasi.

Enrico Deaglio ci racconta in Storia vera e terribile tra la Sicilia e l’America l’eccidio di Giuseppe, Francesco e Pasquale Defatta, Rosario Fiduccia e Giovanni Cirami. Appesi a un albero una sera di luglio del 1899 davanti a una “folla ordinata”, come riportarono le cronache di allora. Una “condanna esemplare”, la definì parte del ruggente giornalismo, frutto di una caccia collettiva che portò addirittura a legare il telegrafista del posto per non disturbare il manovratore. Il mondo sarebbe stato informato a corpi freddi.

La giovane America veniva dal bando della schiavitù, ma nessuno dei proprietari terrieri era disposto a concedere la minima parte delle proprie sconfinate ricchezze ai nuovi liberi. C’era solo da sostituire una forza mite e ubbidiente di schiavi con radici africane a un’altra con radici italiane o meglio, sicule o comunque sudiste. Lavori che avrebbero ammazzato un bue in cambio di un campo dove dormire e tollini per ritirare una porzione di carne e di polenta. Se piove non si lavora. Ma se non si lavora non si viene pagati. Prendere o lasciare. I dagos, come nel disprezzo neolinguistico americano questa gente veniva chiamata, prendevano. Amen se poi si poteva essere linciati, picchiati e uccisi senza un’apparente ragione. I nuovi dannati erano loro, queste le regole.

Ma la storia che racconta Deaglio forse non andò così. Non si discute l’epilogo, quanto le cause. Deaglio cerca e ricerca, spulcia, parla, interroga. Come fece Truman Capote, o magari anche meglio considerate le nuove rivelazioni su come venne scritto A Sangue Freddo. Un eccidio che a oltre un secolo dice ancora qualcosa. Ci parla di come i rapporti personali, le dinamiche sociali e il lenzuolo postumo della politica alla fin fine non smettono di essere gli stessi quando c’è da imporre un interesse. A Tullalah non fu solo una questione di odio razziale. Fu quel qualcosa che non smette di muovere l’essere umano dalla notte dei tempi. L’incapacità di mettere sul tavolo una minima, elementare forma di empatia di genere. La grandezza dell’autore riposa proprio nel far stringere alla ricerca sul campo del fatto e dei suoi dintorni la mano di un’analisi storica più estesa. Il tutto con un linguaggio che ci porta per mano e ci fa vedere meglio di un film.

 

Enrico Deaglio, Storia vera e terribile tra Sicilia e America, Sellerio, pagg. 224, euro 14

 

Corrado Ori Tanzi

http://8thofmay.wordpress.com