Don Winslow

Don Winslow Il cartello


Einaudi, 2015 Narrativa Straniera | Romanzo

19/12/2015 di Corrado Ori Tanzi


Benvenuti a Sinaloa, Valverde, El Paso, Matamoros, Tijuana, Laredo, Reynosa, Chihuahua, Villas de Salvácar, Monterrey, Michoacán, Badiraguato, Culiacán, Mier, Camargo. Benvenuti a Ciudad de Juárez. Benvenuti nell’inferno dell’inferno. Dove non potete scegliere se prendervi la busta col denaro dentro o non prenderla, ma prenderla o morire. Dove non potete scegliere in genere perché le famiglie dei narcos scelgono voi. Qualunque cosa voi siate. Dirigenti di banca, poliziotti, giudici, politici, giornalisti, secondini, baristi, ambulanti, taxisti, negozianti, fioristi, cuochi, puttane, musici, contadini, pastori, preti. Dove siete benvenuti se vi adattate a vivere una vita da storpi e se trovate naturale vivere una vita tra luce e buio. Dove la luce è il sole che vedete fuori la mattina e buio è tutto il resto. Dove imparate ad avvertire la presenza di un pericolo come un arto amputato e quella del nemico come un fantasma che vi gira sempre attorno. Che siate in bagno a pisciare, nel pieno di un orgasmo o nel sonno più profondo.

Dove il pullman che vi sta accompagnando dalla vostra vecchia madre o semplicemente al mercato viene fermato, voi tutti fatti scendere e se siete femmine e carine siete messe a produrre sulla strada dopo ore e ore di stupri, se avanti con l’età o non piacenti sparite per sempre su un camion e se siete maschi vi viene data una mazza da baseball con cui dovete combattere fino alla morte col vostro vicino di fila e se alla fine tocca a voi restare in piedi siete arruolato seduta stante. Perché? Perché i narcos hanno sempre bisogno di carne e se avete la sfortuna di imbattervi con una famiglia che il reclutamento lo fa anche così, vi conviene dedicare i vostri pensieri al vostro Dio.

Dove si fa pagare una quota anche a donne, bambini e anziani contro il diritto di camminare per strada. Dove la vostra piccola cittadina può essere evacuata da un momento all’altro e diventare una roccaforte inespugnabile delle famiglie, che si tengono il minimo indispensabile degli abitanti autoctoni, quanto necessita per servire loro nelle case e nei letti (il resto evapora in silenzio). Dove non c’è un giorno senza un sequestro, non c’è sequestro senza una tortura e non c’è tortura senza il ritrovamento di pezzi umani da ricomporre perché la società vive anche di spettacolo.

Così si vive. Si vive per uccidere o per essere uccisi, a seconda di dove si è fermata la pallina del nostro destino. E se si è uccisi dopo aver ucciso allora moriamo sapendo che altri uccideranno per vendicare la nostra morte, ma a quel punto non è che sia cosa che ci riguardi proprio da vicino. E se invece siete stati colpiti semplicemente perché eravate al ristorante o stavate camminando in un centro commerciale o per la strada e non avevate né volto né nome, allora quando sarete nell’Aldilà non vi chiederete perché neanche i vostri cari vi hanno commemorato.



Quasi novecento pagine. Don Winslow non ha badato al tempo e allo spazio per raccontarci Il cartello. L’epopea in dieci anni di Adán Barrera e della sua potente famiglia, dei Tapia, dei mostruosi Los Zetas e della Familia, del Cdg. Ma anche di Art Keller, l’uomo della Dea che lo aveva arrestato uccidendogli il fratello e lo zio. Si era ritirato in un monastero del New Mexico a fare l’apicoltore Killer Keller, come era soprannominato da nemici e non nemici con più di una punta di rispetto se non invidia, ma Barrera è scappato dal carcere di San Diego e la libertà del jefe del cartello della droga più potente del mondo non è ancora un fatto di cui il mondo si deve abituare.

Guerra epica quella che si scatena sulle strade del Messico. Solo la capitale viene lasciata in pace. Ma solo perché la sua metastasi è roba personale di chi ne è allo stesso tempo la causa e il medico, e cioè la politica intera. E la politica ha i militari. E i militari sono corruttibili anche loro, ma non esattamente come la polizia. Guerra non conflitto. Guerra in cui l’obiettivo non è sradicare la produzione e la diffusione di cocaina, eroina, metamfetamina, crack e compagnia bella, mira che né il Messico né gli Usa secondo il suo autore hanno mai perseguito, ma riportare la sua presenza a un livello di tolleranza civile. Se riuscite a non farvi schifare dall’ossimoro.

E allora l’unico modo è quello di far tornare polvere chi continua a volare troppo vicino al sole senza bruciarsi. Inculcare come un comandamento della Bibbia il diventare capo di una famiglia di narcos è accettare una condanna a morte perché prima o poi un missile o un drone imbottito gli esploderà sulla testa.

Ma Il cartello non è solo questo. Il romanzo segna la decisione di Don Winslow di percorrere anche lui la stessa strada che portò anni fa James Ellroy a uscire dal puro crime. Lo scrittore newyorchese, a differenza del collega californiano, non ha cambiato anima alla propria scrittura. Il governo dei molteplici punti di vista resta saldamente in mano all’io narrante, la struttura delle frasi non ripercorre come un’ombra l’anarchia della formazione del pensiero dei personaggi, lo scrittore non si pigia contro il muro il più possibile per far fluire ogni gesto e parola delle decine e decine di uomini e donne che riempiono la scena. Insomma, se Ellroy ha ucciso lo scrittore e sono i personaggi a raccontarsi da soli, in Winslow è ancora il narratore che li dispone sulla scacchiera e si mette a giocare con loro. Con una superba maestria. Che, a posteriori, ci dice che titoli come Il potere del cane piuttosto che Satori sono stati dei meravigliosi probatori esercizi di stile che lo hanno condotto a scrivere il Capolavoro. Definito, parole e musica proprio da James Ellroy, «il Guerra e Pace della lotta alla droga».

Un martello letterario che ha il respiro del nostro tempo presente, capace di uscire dai confini geografici in cui l’azione ha il suo cuore per elevarsi a metafora di una vita così come la conosciamo, anche se il nostro piede non ha mai toccato il suolo del Messico. Una narrazione imponente, animata da personaggi tridimensionali anche nella loro esecrabilità, degni di un profilo letterario che ben poco hanno da invidiare (se proprio qualcosa resta loro da invidiare) a Rodion Romanovič Raskol’nikov o a Pirre Bezuchov o al principe Andrej Nikolaevič Bolkonskij. Ecco, forse manca un alter ego dell’autore (o chi firma queste righe non è riuscito a individuarlo), ma chissà che lo scorrere del tempo non aiuterà a mettere meglio nel mirino questo libro che, su questo penso di potermi sbilanciare, diventerà presto un classico della letteratura americana, ben fuori dal genere in cui pigrizia e abitudine ce lo faranno catalogare.



Come per la struttura di difesa dei singoli cartelli in molteplici cerchi concentrici sempre più piccoli quanto più ci si avvicina all’obiettivo da tutelare, Winslow crea una linea di narrazione che, attraverso a vari strati di orrore (che mai dà la mano allo splatter) e dolore, ci mette davanti a una schiera di ottantamila invisibili che improvvisamente ci esplode contro tutta la voce che in vita e in morte non è mai riuscita a far sentire. Poveri, diseredati, impotenti. Ma anche resistenti coraggiosi a cui è stato fatto conoscere sulla propria pelle (ma soprattutto sotto) fin dove può arrivare la sperimentazione umana della carne che urla per tagli e lacerazioni prima di convincere la morte pietosa a dire che lo show è finito lì. Il libro infatti si apre con una dedica. Una pletora di nomi che copre due facciate in minuscolo corpo tipografico, nomi e cognomi di giornalisti assassinati o desaparecidos “durante il periodo di tempo in cui si svolge questo romanzo”, scrive l’autore. Per poi aggiungere come la coltellata che dà il colpo di grazia: “Ce ne sono stati molti altri”.

Al di là degli uomini e delle donne che ricorrono nelle pagine, è proprio questo esercito di spettri il motore che spinge il racconto. Che non derapa mai, pur con improvvise curve a gomito prese a duecento all’ora. Alla fine le porte e le finestre aperte si chiudono una a una. Tutto verrà detto. Tutto verrà scritto. Ogni cosa troverà un suo posto. Ma non è detto che chi resta non rimpianga la sorte di chi non c’è più. Il conto sarà salato allo spasimo e non è affatto sicuro che l’essere rimasti in piedi sia stata una vittoria alla lotteria.

Benvenuti all’inferno. Ora provate a uscirne.

 

Don Winslow – Il cartello, Einaudi, pagg. 896, euro 22

 

Corrado Ori Tanzi - https://8thofmay.wordpress.com


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