Davide Van De Sfroos

Davide Van De Sfroos Ladri di foglie


Editore La nave di Teseo - Collana Oceani - ottobre 2018 - 126 pagine Narrativa Italiana | Racconti

16/12/2018 di Laura Bianchi
Le foglie sono figlie degli alberi. Anche i fogli lo sono. Chissà se Davide Bernasconi, in arte Davide van de Sfroos, nelle sue scorribande da contrabbandiere della parola, ci ha mai pensato. Lui che frequenta foglie d'albero, e fogli di carta, da una vita, e che cerca da sempre di mettere in connessione natura e cultura, radici e aria, passato e presente.

Dopo un periodo, terapeutico, di silenzio creativo e mediatico, strumento per una riflessione interiore, Bernasconi sceglie di tornare, ma lo fa con i fogli di carta, per consegnare alle stampe, per i tipi della casa editrice La nave di Teseo, una raccolta di racconti, appunto, Ladri di foglie.

Voce dalle radici solide, ma dalle estremità fragili, come quelle di un albero, la voce narrante, nel corso del quindici racconti, a volte si espone al lettore in modo quasi imbarazzante, oppure si cela dietro a alter ego, tanto improbabili, quanto proiezioni delle mille personalità, che un artista sensibile ha assorbito nel corso della sua esistenza, o ancora, raggiunge un equilibrio miracoloso fra coinvolgimento diretto e distacco cinico. Ma, in ogni caso, è impossibile mettere in dubbio la spontaneità e l'urgenza della scrittura, che, è evidente, risponde al desiderio dell'autore, qualunque voce possa assumere, di tornare sui suoi passi, rivedere il percorso compiuto, con serenità dolente, e consegnarlo al lettore, chiedendogli di non giudicarlo, bensì di comprenderlo.

Insieme a foglie di platano, di vite, di querce dette Gargantua, di tigli chiamati A love Supreme, di palme, di pruni selvatici ribattezzati Vazkor, si muovono e vivono esistenze spesso frantumate, spaesate, losers nemmeno tanto beautiful (non affascinanti perdenti ma sacco della spazzatura indifferenziata, come si legge in un racconto); uomini e donne che la vita ha trascinato via, nel soffio incessante del Grande Viaggiatore, un vento onnipresente, a volte impietoso, altre rassicurante. E lo sguardo del narratore si nutre di ricordi, rimpianti, di un senso del tempo passato e passante, centro della rosa e scodella di futuro, camminando dentro, o accanto, ai propri personaggi, in bilico fra psicofarmaci, dai nomi troppo appropriati per essere inventati, disturbi bipolari, attacchi di panico, fatti di sangue, forze del bene e del male in una lotta assolutamente pagana, tensione verso una spiritualità sciamanica e immanente nella natura. Lo sguardo è acuto come la scrittura, densa di echi alla narrativa americana, dall'aggettivazione connotativa e calzante, che crea un'atmosfera sospesa, onirica, ma anche concreta, quasi tangibile.

Il Tenente Bullitt e John Coltrane, le anime perse dei paesotti di pianura, le caricature dei sociopatici, i Clash e Bowie, i ciclamini angeli e gli aghi di pino cavalcati da Palankuatt, le streghe innominabili e le schiene incurvate dalla vita, le ipocondrie e le storie di amore e amicizia si mescolano, nella creazione di Bernasconi, restituendo al lettore un senso dolceamaro, come di acquadolce di lago, fra il desiderio di pensare a Dio e l'insoddisfazione per non poterlo raggiungere; come di tensione, o di attesa.

Ladri di foglie, forse, è proprio il libro dell'attesa, che pare sciogliersi, nell'ultimo racconto, nella descrizione di un prete, foglia secca che, con umiltà, aspetta un sorriso, insieme conquista e dono di un periodo doloroso e necessario, da condividere con chi lo sa accettare senza chiedersi altro.


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