Dario Voltolini Acqua chiusa
Oligo, 2024, 52 p., ill. , prefazione di Alice Pisu, Brossura, 13 euro Narrativa Italiana | Romanzo | Storia
09/10/2024 di Laura Bianchi
Torino com'era, Torino com'è. La Torino della FIAT, delle piccole o grandi fabbriche e industrie che ruotavano intorno alla Fabbrica Italia, come veniva chiamato il complesso del Lingotto, oggi non esiste più. Ma resistono i ricordi di quella Torino, sospesa tra nostalgia della campagna, che ancora la assediava, e sogno di un futuro tecnologico, che svanì nell'arco di qualche decennio; e resistono gli scrittori, gli artisti, che la vissero e ne respirarono l'atmosfera densa di nebbia e fumo, e ora hanno la grave responsabilità di raccontarla a chi non la può neppure immaginare, tanto grande è la diversità rispetto all'oggi. Ci ha provato lo scorso anno Andrea Canobbio, col romanzo La traversata notturna, trasformando la città in una mappa della memoria; e ci prova, con impianto e motivi diversi, Dario Voltolini, che, anche lui torinese di nascita, si inserisce, con Acqua Chiusa, nella nuova collana Ronzinante, diretta dallo scrittore Marino Magliani, per Oligo Edizioni.
Ed eccoci immersi in una zona "molto meno tossica di quando era viva. Ma morta", in cui "tutto è caduto, cioè resta solo il ricordo"; la voce narrante ha assorbito tutto, e ora lo centellina per noi, restituendoci i suoni, gli odori, le immagini di un mondo di industrie pesanti come le sostanze che i loro abitanti erano costretti a respirare, o con cui venivano a contatto quotidianamente, "il tempo del caucciù e delle mescole e degli stampi", che animavano un genius loci beffardo e metallico.
Voltolini, con pochi tratti di china, disegna fabbriche che nascondono il fiume, asfalto che copre la terra, ciminiere che sfidano il cielo, chiuse che costringono l'acqua a lavorare, anch'essa, per loro; e intanto, con poche, incisive, esatte parole ci fa immaginare gli uomini che le vivevano, la natura in perenne lotta con le cose, le famiglie segnate dal lavoro, mute, impotenti, a vedere tutto "cadere".
La caduta, non solo metaforica, di un mondo, di un insieme di valori e relazioni, di un senso che potesse spiegare quanto avveniva, è registrata in modo alto e poetico, in una sorta di breve romanzo popolare e corale, denso di frasi nominali, di elenchi di oggetti o di allitterazioni, che ricreano una disarmonia non solo stilistica, ma antropologica, come ha saputo fare Montale, pur nell'esattezza quasi scientifica di un Calvino. Esemplare è questo passo: "Una casupola di legno pencolante sul fiume all'inizio del ponte era un bar, una trattoria. Aveva tavolini all'aperto. Prima che tutto cadesse stava già cadendo. Così come non si attribuiscono agli operai guanti firmati serici, bensì guarnizioni rozze e ingrommate, spesse, grezze, anche il panino dell'operaio non era un tramezzino o uno sfilatino, ma era un biovone zeppo di acciughe spesse come sgombri, in miscela di olio, aglio e prezzemolo. "
Ne emerge una lettura profonda, come un inabissamento in una dimensione altra, che è infatti quella tipica della poesia, capace di descrivere e trasfigurare insieme, e sorge la spontanea meraviglia per la capacità dell'autore di condurre in un viaggio tanto intenso in meno di sessanta pagine.
Da leggere, da meditare, come solo la poesia grande sa fare.
Dario Voltolini È autore di numerose raccolte di racconti, romanzi, volumi illustrati, radiogrammi, testi di canzoni e libretti per il teatro. È stato docente e direttore della “Scuola Holden – Storytelling and Performing Arts”, curatore della collana di libri “Holden Maps” per Rizzoli, della collana di narrativa italiana Pennisole per Hopefulmonster editore, collaboratore dell’“Indice dei libri del mese”, di “Pulp” e della “Stampa” (“Tuttolibri” e “TorinoSette”), cofondatore dei blog letterari “Nazione Indiana” e “Il Primo Amore”.