Daniel Schulz Eravamo come fratelli
Bottega Errante Edizioni, 2024, Collana Radar, Traduzione Federico Scarpin, 296 pagine, 20 euro Narrativa Straniera | Romanzo | Storia
02/10/2024 di Roberto Codini
Fratelli coltelli con la svastica e la pistola
Eravamo come fratelli è un romanzo che ci riporta nel 1989: il Muro di Berlino sta per cadere e quattro bambini discutono un piano per rubare una pistola e scatenare una guerra contro la Germania Ovest. Quando la Germania Est cessa di esistere, i suoi abitanti restano smarriti e alcuni di loro, da socialisti convinti, si trasformano in neonazisti. Come è possibile?
L'opera di Daniel Schulz è un romanzo di formazione nel quale la narrazione si fa sempre più sconvolgente e il protagonista, da giovane ingenuo e timido, si ritrova a frequentare amici che collezionano cimeli del Terzo Reich, scatenano risse e si rasano i capelli a zero, coltivando idee antisemite.
L’autore ha dichiarato che il suo romanzo racconta «la storia di un gruppo di adolescenti che crescono in quel periodo particolare che segue la rivoluzione del 1989”. “Io stesso - precisa - sono cresciuto in questo periodo e il romanzo contiene alcuni elementi biografici. Tuttavia, per me era importante raccontare una storia universale, su come il fascismo di strada funzioni nelle aree rurali, perché questa storia non è solo la mia storia. Era importante per me raccontare l’esperienza collettiva che hanno avuto molti giovani cresciuti nella Germania dell’Est negli anni Novanta. È necessario avere nuova consapevolezza di questa esperienza, perché negli anni Novanta la violenza neonazista è stata generalmente negata della élite politica, dagli studiosi, dagli adulti. Molti della mia generazione hanno interiorizzato la loro esperienza di violenza e umiliazione e l’hanno repressa nella loro memoria».
Il libro nasce da un reportage pluripremiato sulla gioventù neonazista nella provincia di Berlino e Schulz racconta che, per scrivere il reportage e il romanzo, ha svolto ricerche come giornalista, per quanto è stato possibile.
“Questo si spiega in sostanza - dice - con il fatto che la generazione degli anni Novanta spesso non si fida dei propri ricordi, e io non faccio eccezione. Sono tornato nei luoghi in cui sono cresciuto e ho parlato con persone che hanno vissuto quel periodo. Ho rivisto le strade di allora, i posti. Ho riletto vecchie lettere, le poesie e qualsiasi altra cosa avessi scritto. Avevo bruciato molte cose, ma non tutto. Per scrivere il romanzo ho continuato a spostarmi tra Berlino e il Brandeburgo, non nella zona in cui sono cresciuto, ma in un'area in cui molte persone ora votano per il partito estremista di destra AfD. In questo modo mi sono avvicinato al linguaggio della gente del Paese e alla mentalità di chi vota per gli estremisti di destra».
L’autore ha vissuto a Brandeburgo quando ha scritto il libro, la cui lingua “ha molte funzioni: mostra che c'è una lingua che separa la campagna dalla città, mostra che parole e modi di parlare diversi si sono affermati all'Est e all'Ovest, mostra anche che c'era già uno spazio razzista ed estremista di destra quando la DDR esisteva ancora e il Muro non era ancora caduto. Nella storia di formazione che il mio romanzo racconta, c'era il rischio di creare l'impressione che ciò che viene raccontato, il razzismo, la violenza, fossero emersi solo mentre gli adolescenti crescevano, negli anni Novanta. Perché i lettori vedono il mondo di questo libro attraverso gli occhi da adolescente per i quali tutto è nuovo. Il linguaggio crudo e a volte razzista è uno spazio che è lì davanti a loro, non lo creano, ci entrano. E poi sviluppano ulteriormente questo spazio insieme agli adulti, ai media, agli altri. Nella Germania dell'Est esiste ancora la leggenda che la DDR fosse uno Stato senza razzismo, il che non è vero”.
«Mettere in discussione i miei ricordi - ha spiegato l’autore - in particolare, è stato spesso un processo molto doloroso. Dopotutto, stavo appena iniziando ad accettarli come veri e, allo stesso tempo, volevo rimetterli in discussione per non rendere troppo facile la scrittura. In fondo, è un dato di fatto che i ricordi sono spesso inaffidabili; li rimodelliamo continuamente a seconda della situazione in cui ci troviamo. I ricordi non sono solidi, sono fluidi. Anche nel libro ho inserito l’inaffidabilità di ciò che viene ricordato. Nel romanzo non c'è un narratore onnisciente; molto è costituito da voci, supposizioni e verità apparenti. Questo è probabilmente il risultato del mio approccio giornalistico. Il risultato, il testo, è l'opposto del giornalismo. Il giornalismo crea delle verità temporanee, il giornalismo gerarchizza fatti e argomenti, il giornalismo organizza il mondo per il lettore. Il libro è uno spazio costante di domande: che cosa è vero e che cosa diventa verità? Come posso trovare la mia strada se le certezze esistenti crollano da un giorno all'altro? Scelgo veramente sempre il bene in circostanze avverse, come immagino? Scelgo di sopravvivere? E anche l'opportunismo ha un prezzo e, se sì, qual è?»
Il romanzo ha scatenato molte reazioni, alcune negative e molte positive: finalmente qualcuno raccontava la storia degli anni Novanta, la loro storia.
“Non sto negando la rabbia e il diritto di essere arrabbiati. Bisogna essere arrabbiati per le condizioni, bisogna volerle cambiare. Ma c'è uno spazio tra la rabbia e la decisione di fare politica fascista. E in questo spazio prendiamo una decisione. E siamo responsabili di questa decisione”.
Viene in mente quel meraviglioso film che è “Good Bye Lenin”, nel quale, quando la protagonista si risveglia dal coma, i figli si adoperano perché non scopra che il Paese è finito nelle mani dei capitalisti. Il romanzo di Schulz è sincero ed assolutamente autentico, è un ritratto delle origini della xenofobia e dell’estremismo di destra. A differenza del bellissimo film di Becker, qui il passato non esiste più ma il presente non lascia per niente tranquilli. E i fratelli ora hanno la pistola e la svastica sul petto.
Il libro non è solo un romanzo, ma è un reportage giornalistico di grande attualità.
Da leggere e ricordare. Sempre.
Daniel Schulz Nasce nel 1979 a Potsdam e cresce nella regione del Brandeburgo, allora DDR. Attualmente dirige la sezione di reportage e giornalismo investigativo del quotidiano tedesco “Die Tageszeitung”, occupandosi principalmente di Europa orientale, estremismo di destra e tematiche legate alla Germania orientale. Per la sua attività di giornalista è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui il Deutscher Reporterpreis e il Theodor-Wolff-Preis. Eravamo come fratelli è il suo romanzo d’esordio.