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Cormac Mccarthy Stella Maris
Einaudi, 2023, Collana Supercoralli, Trad. Maurizia Balmelli, 200 pagine, 18,50 euro Letteratura Straniera | Romanzo
17/10/2023 di Luca Bacchetti
Quando poi uno è un semplice passeggero, come siamo tutti noi, in questo ultimo viaggio descritto da Cormac McCarthy, allora c’è bisogno di una vera Stella Polare per trovare l’orientamento, una Stella Maris dove tornare per fare ordine, per quanto ci possa essere ordine nella mente di chi è alle prese con questioni che abbracciano la natura stessa del mondo.
Il libro in un certo senso fornisce allora dei punti di riferimento a chi esce, frastornato ed ebbro, dalla lettura del Passeggero, per cercare qualche chiave che possa aiutarlo a mettere ordine, a trovare un senso e a dare un nome alle cose.
Alicia, il cui suicidio apriva il romanzo precedente, la troviamo ancora viva all’inizio di questo, quando, dopo aver chiesto di essere internata nella clinica Stella Maris, inizia un lungo dialogo con il Dottor Cohen, ennesimo terapista alle prese con questa paziente geniale, provocatoria, fragilissima e destabilizzante.
Il dialogo respira con ritmi a volte sincopati e a volte espansi e profondi, attraendo nei suoi vortici argomenti disparati e apparentemente lontanissimi, come fosse un buco nero che non lascia scappare nulla alla sua forza.
Se consideriamo questo libro come uno strumento per orientarci tra i mondi visitati da Il Passeggero, allora scordiamoci le mappe lasciate in appendice, ad esempio, al Signore degli anelli, con i disegni stilizzati delle due torri, del bosco atro e della contea, ad accompagnare con rassicuranti punti di riferimento il nostro viaggio assieme alla Compagnia dell’anello.
Questa mappa ci serve, se non si fosse capito, per un viaggio nella mente umana, alla ricerca dei luoghi dove nasce la nostra comprensione del mondo e, se vogliamo, del senso stesso del mondo.
Dovendo assolvere a questa funzione, la struttura del libro è più lineare di quella del Passeggero, ma non per questo di più facile comprensione, visto che stiamo comunque leggendo il dialogo di un genio della matematica cui è stata diagnosticata una schizofrenia paranoide.
Non c’è niente di semplice e rassicurante, quindi, in una mappa così.
Si parla di Los Alamos, di Oppenheimer, di fisica, di matematica e matematici, con una dovizia di particolari e citazioni talvolta soverchianti. Ci sono momenti in cui si ha l’impressione di essere in apnea, senza ossigeno, alla ricerca di un filo conduttore in quello che leggiamo, fino a riemergere alla superficie, come farebbe un naufrago, aspirando tutta l’aria possibile che può dare la salvifica e semplice frase del Dottor Cohen: non credo di aver capito (lo so, risponde invariabilmente Alicia, senza aggiungere altro).
Del resto, il viaggio, iniziato (o concluso?) con il libro precedente, è ambizioso e delirante al tempo stesso. Si indaga l’origine della comprensione, dell’intelligenza, finanche della malattia mentale, arrivando, tra le altre cose, a individuare nel linguaggio il virus che ha infettato l’uomo, andando a cristallizzare le idee in forme fisse e fragili, in “segnali stradali”, per citare un punto del Passeggero.
Tra le diverse riflessioni, meritano un posto speciale quelle sulla musica e sul violino, un Amati del 1600, che Alicia aveva acquistato ad un’asta, pagandolo in contanti, circa 200.000 dollari, portati con sé in autobus, in una borsa.
Il racconto di quando apre la custodia, lo prende in mano e inizia a suonarlo è uno dei momenti più commoventi che vi possa capitare di leggere.
Alla fine non potrete che rimanere lì, storditi, tenendo anche voi per mano Alicia, in attesa della fine di qualcosa che vorreste non finire.