Cormac Mccarthy

Cormac Mccarthy La strada


La strada 2007, Einaudi - pp. 218 Eur 16,80 Romanzo | Narrativa

di Christian Verzeletti
C’è stato un tempo non lontano, in cui i romanzi di Cormac McCarthy narravano di cowboy moderni, o meglio di personaggi che portavano in corpo i resti di un’epoca valorosa ma che però si trovavano a vagare in un mondo proiettato altrove, sperduto, tra un confine irriconoscibile e un’identità prevaricata dalla violenza.
Piegando in questo modo il mito americano con la sua forza narrativa, McCarthy proponeva una metafora cruda, spietata, della società attuale e per questo ha goduto della considerazione di una critica che lo ha assunto giustamente ad uno dei massimi autori dei nostri tempi.
In questi casi generalmente per uno scrittore diventa difficile progredire, continuare a far camminare in avanti la propria opera. È facile che spesso si ripeta, come se avesse esaurito il filone da lui scoperto e ancora si ostinasse a percorrerlo. Sono in pochi, pochissimi, quelli che riescono a far crescere ancora la propria scrittura.
Cormac McCarthy ci è riuscito con “La strada” che avanza di un gradino rispetto ai precedenti, compreso l’ultimo splendido “Non è un paese per vecchi”.
Già la trama sembra portare all’estrema conseguenza quanto fin qua scritto da questo settantenne del Rhode Island: il mondo è vittima di un’imprecisata Apocalisse che ha raso tutto al suolo riducendo il paesaggio e l’umanità ad una distesa di ceneri. Un uomo e un bambino viaggiano tra le rovine dirigendosi a Sud verso il mare, fuggendo dalla morte, dal buio, dalla fame e dai propri simili.
Quelli che erano i simboli dell’America sono ora improvvisati mezzi di sopravvivenza o peggio carcasse di una vita che non c’è più: la strada è un percorso indefinito, mentre il cavallo e l’auto sono sostituiti rispettivamente da un carrello della spesa e da un telo di plastica con cui i due protagonisti trasportano quel poco che rimane loro. Le case sono ruderi, il paesaggio una distesa bruciata e persino il nemico è stato annientato, restano pochi “cattivi” che non si distinguono dai “buoni”. Non c’è metà, non ci sono missioni da portare a termine: le armi non servono per compiere un colpo o una vendetta, ma per difendersi da quelle poche creature ancora vive.
Rimane solo il rapporto tra padre e figlio, ridotto ai minimi termini e quindi ancora più forte nell’economia del romanzo.
In questo ambiente lo stile scarno di McCarthy si fa ancora più essenziale, intriso di un’epica che soffoca qualunque retorica da fine del mondo e lascia emergere solo quelli che sono i bisogni più profondi dell’essere umano.
L’uomo e il bambino portano dentro di sè “il fuoco” e il ricordo di una donna, quasi a dire che in ultimo a mantenerci in vita è solo ciò che abbiamo impresso nel cuore. Tutto il resto è cenere.


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