Colin Wilson

Colin Wilson La gabbia di vetro


trad. Nicola Manuppelli, Carbonio Editore, 2018, pp. 265, euro 17,50 Romanzo | Noir

01/02/2021 di Franco Bergoglio
Quello dello scrittore Colin Wilson (1931-2013), non è certo un nome familiare ai lettori di mystery. La sua produzione letteraria ha spaziato in troppi campi perché la critica potesse inquadrarlo in un genere. Diventato famoso giovanissimo con The Outsider, un saggio sui generis tra filosofia, sociologia e letteratura che inquadrava in modo originale i lavori e le vite di Sartre, Camus, Hemingway, Hesse, Dostoevski, Lawrence, Van Gogh e altri ancora, venne subito inglobato in quella corrente di scrittori, noti come Angry Young Men, che segnava una sorta di risveglio culturale dell’Inghilterra. In seguito la sua fama si è radicata soprattutto presso il pubblico amante della fantascienza e dell’horror alla Lovecraft, grazie a lavori che esploravano a fondo quelle tematiche.

Oggi la riscoperta di Wilson fa riemergere anche la sua produzione noir e La gabbia di vetro, pubblicato da Carbonio in una elegante edizione, si inserisce in questo filone. Il romanzo in senso stretto è un mystery e contiene tutti gli ingredienti del genere: c’è l’indagine della polizia, ci sono alcuni amici che si improvvisano detective per risolvere il caso, c’è un serial killer impegnato a seminare il panico squartando le vittime e firmando le sue atrocità con i versi del poeta William Blake scritti sui muri lungo il Tamigi in prossimità dei corpi.

Se questa vicenda -fin qui abbastanza classica- è il motore della trama, tutto il resto rappresenta un pastiche originale che si allontana dal genere. I dialoghi filosofici, le discese negli inferi di una Londra buia, le avventure del personaggio principale, un esperto assoluto della poesia di Blake, sono lontani dagli stereotipi del genere. Ci sono pagine dove esplode una sessualità alla Lawrence e altre dove sembra di entrare in un romanzo di formazione.

Siamo negli anni della Swinging London, eppure il romanzo si tiene ben lontano dal
dipingere la cartolina di quella Londra: l’unica musica citata espressamente a guisa di contraltare a qualche rumoroso jukebox da bar è quella di Šostakóvič. La gabbia di vetro è stato scritto nel 1966 e grazie a queste caratteristiche porta benissimo i suoi anni. Le tante introspezioni psicologiche del protagonista nel tentare di penetrare i recessi mentali dell’assassino ricordano il modus operandi della moderna criminologia e il protagonista individua il killer tracciandone un vero e proprio profilo psicologico, una pratica certamente non usuale alla metà degli anni Sessanta. Anche l’ambiguità del rapporto tra l’investigatore esperto di Blake e la sua preda omicida, i contorni sempre più sfumati che assume la vicenda con lo scorrere delle pagine ne fanno un prodotto atipico.

Se cercate un giallo da ombrellone, non fa per voi; se invece vi intrigano i dialoghi
sofisticati e le scritture non ortodosse questo romanzo può riservarvi delle piacevoli
sorprese.