William Burroughs

William Burroughs La calcolatrice meccanica


Adelphi, 2024, Introduzione di James Grauerholz, Traduzione di Andrew Tanzi, La collana dei casi, pp. 305, 24 euro Letteratura Straniera | Saggi

07/08/2024 di Franco Bergoglio

"Dal 1968, nel mercato editoriale si era fatto strada un nuovo genere di

periodico: le riviste di musica pop, che enfatizzavano spesso le «radici

underground» della nuova scena musicale ed erano zeppe di pubblicità

delle nuove case discografiche proprio nel pieno dell’esplosione

rock’n’roll anni Sessanta. Queste riviste pagavano molto meglio..."

Così James Grauerholz, collaboratore di lunga data di William

Burroughs, spiega nell’introduzione del saggio La calcolatrice meccanica, come molti degli scritti ora raccolti in questo volume, edito da Adelphi in Italia per la traduzione di Andrew Tanzi, hanno visto la luce, pubblicati dai soggetti

più disparati.

Il mercato culturale giovanile del periodo vedeva in lui un

beat ancora più eretico degli altri, una sorta di maestro oscuro per

attraversare gli Anni Settanta, fino almeno al punk (compreso). Ecco

allora pagine scritte per le riviste che hanno fatto la controcultura

mondiale, come Crawdaddy. Ci sono articoli inquietanti che parlano di

virus, di sessualità, di dipendenza dal tabacco e dalla droga, di

fantascienza; pezzi che esplorano gli abissi della mente umana, ma

che parlano in particolare di cosa significhi essere scrittore, della fatica,

della necessità, per chi fa questo lavoro, di vivere le cose sulla propria

pelle per scriverle.

"Avete tutti presente il pubblicitario che vuole abbandonare la corsa al

successo, chiudersi in una capanna e scrivere il Grande Romanzo

Americano. Gli dico sempre: «Non rinunciare agli stimoli esterni, B. J. -

potresti averne bisogno»."

La possibilità di andare incontro a fallimenti e frustrazioni o di perdere

l’ispirazione è molto alta e suggerisce a Burroughs pagine di analisi (e

autoanalisi) davvero penetranti. Una possibilità così elevata di sbagliare

o di essere sterile porta lo scrittore in balia di sé e degli altri, senza una

corazza che lo tuteli dai mali del mondo.

"Non vedrete nessun medico, avvocato, ingegnere, architetto che sia

diventato campione del mondo nella sua professione starsene in un

angolo con il cervello in pappa mentre vende cravatte. Nessun fisico

atomico deve preoccuparsi: la gente vorrà sempre uccidere altre masse

di persone. Di sicuro ha il frigo pieno di salsicce e acqua di fonte,

proprio come l’idraulico. Non gli può succedere niente: donazioni, borse

di studio, un arcobaleno fino alla tomba e una lapide che brilla nel buio."


Per gli scrittori niente gloria e ricchezze terrene, però hanno dalla loro

un potere diverso, che proviene dall’arrivare quando FINISCE la gloria

che ha arricchito un certo tipo di persone fino alla tomba; proprio lì inizia

qualcosa di diverso: «Gli scrittori sono tutti morti e tutta la scrittura è

postuma».

Anche il metodo del cut up sviluppato da Burroughs, che consiste

nell’assemblare materiali vari, di vari autori, è una reazione a un certo

modo economico e sociale di considerare la letteratura: «Vedete, mi era

stata inculcata l’idea delle parole come proprietà – “le proprie parole”- e

di conseguenza una profonda ripugnanza per il peccato nero del

plagio». Il furto, spiega inoltre l’autore, è una benedizione che santifica il

valore di qualcosa. Geniale, no?

Burroughs parla anche dei colleghi, e nel libro sono presenti ritratti di

Fitzgerald, Genet, Kerouac, Hemingway...Su “papà” Hemingway

l'autore scrive senza peli sulla lingua pagine davvero particolari.

"Hemingway ricevette lodi e ammirazioni dalla critica per cose che non

fece. Fiesta fu acclamato come l’affermazione definitiva della lost

generation. Non lo era. Ci sono più anni Venti in una pagina di

Fitzgerald che in tutto Hemingway. Non era quello che Hemingway

stava facendo e non lo si può criticare per questo. (...) Hemingway è

stato descritto come un maestro del dialogo. Non lo è. Nessuno parla

come parla la gente nei romanzi di Hemingway."

Più oltre rincara la dose: «Hemingway non dava ai suoi personaggi la

possibilità di parlare. Parlava sempre lui per conto loro». Questo

Burroughs dei saggi non è certo una lettura facile, scontata o divertente,

e quindi si presenta come un piacere necessario...