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Brian Eno Diario. A year with swollen appendices. Con una nuova introduzione dell`Autore
traduzione di Paolo Bertrando, Jaca Book, collana Di fronte e attraverso. Musica, 2021, 480 pp, rilegato, 30 euro Musica | Biografie
22/11/2021 di Franco Bergoglio
Partiamo da una riflessione tratta dalla nuova introduzione scritta per la ripubblicazione del libro, originariamente pubblicato nel 1997 e riferito al diario tenuto giorno per giorno nel 1995.
Questa confusione – tra linguaggio come articolazione di significati e linguaggio come innesco o mood
music – è ormai profondamente penetrato nel discorso pubblico. I “notiziari ventiquattrore su ventiquattro” e internet hanno creato una domanda di contenuti che apparentemente non riesce a essere soddisfatta da vere notizie e dev’essere incrementata da opinionisti, shock jock (disc jockey che lavorano costantemente sulla risposta emotiva ai fatti degli ascoltatori) influencer e twitterati.
I churnalisti (giornalisti che sfornano continuamente le notizie dai comunicati stampa senza fare
approfondimenti, n.d.r.) liberati dalla necessità di fare davvero ricerca e fact-checking, commerciano
“notizie” riciclate della stessa sostanza del fumo (Brian Eno, Diario, introduzione, p.X.).
Seguono, qua e là nel testo, dichiarazioni programmatiche sulla prassi artistica che formano un'estetica complessiva: «Evitare di cercar di fare canzoni: crearle quando non si guarda» (Brian Eno, Diario, P.124). Quante volte capita di cogliere in maniera evidente nella musica meno ispirata il mestiere dell’autore nel mettere in piedi una struttura consolidata, nel ripetere note sicure. Sentiamo chiaramente di essere in presenza di musica che sa troppo di musica. Invece, quando si sente vera musica d’arte, anche a distanza di anni, decenni o secoli dalla sua creazione, si percepisce il legame con il mistero della creazione. Un’altra osservazione, sulla musica pop, integra alla perfezione quella fatta poc’anzi.
Il vero problema è pensare che la musica pop sia prima di tutto un’attività musicale. Non lo è, non lo è
mai stata. Questo è il motivo per cui è spesso stata controversa ed è diventata il punto di aggregazione delle culture alternative: chi se ne sarebbe mai preoccupato se fosse stato solo musica?
Il pop è sempre stato un mélange che comprende almeno gli elementi che seguono: melodie, suoni,
linguaggi, vestiti, mode, stili di vita, atteggiamenti verso l’età, autorità, relazioni, il corpo e il sesso,
balli, immaginari visivi e la rivalutazione valoriale di tutte queste cose (…) E naturalmente, quando le
persone si eccitano per la «musica» e comprano dischi, quello che in effetti comprano è tutto questo
gran miscuglio (Eno, Diario, pp. 314-315).
Dall’idea mutuata da John Rawls che «Cultura è tutto quello che non siamo obbligati a fare» Eno trae
riflessioni stimolanti sulla natura dell’arte. Siamo obbligati a mangiare, ma non a farlo attraverso
qualche tipo di «cuisine», Big Mac o Tournedos alla Rossini. Dobbiamo proteggerci dalle intemperie,
ma non dev’essere necessariamente un problema la scelta tra la Levi’s o Yves Saint-Laurent. Siamo
costretti a spostarci sulla superficie del globo, ma non siamo obbligati a ballare. Le attività umane si
distribuiscono su un lungo continuum, che va dal totalmente funzionale (nascere, mangiare, defecare,
morire) al completamente stilistico (dipingere quadri astratti, sposarsi, indossare elaborate sottovesti
di pizzo, sciogliere una foglia d’oro sopra i risotti) (Eno, Diario, p. 319). L’idea di analizzare l’arte a
partire da un continuum tra il funzionale e l’estetico ci permette di ascoltare in maniera completa la
musica dello stesso Eno, a partire da Music for Airports (1978).
Nel XX secolo il campo degli oggetti culturali è diventato al contempo più ampio (vi sono «state
ammesse» più cose della nostra e di altre culture) e più denso (sono state realizzate e pubblicizzate
più iniziative, più attività sono diventate luogo di sperimentazione stilistica). La storia dell’Arte
tradizionale risolveva la faccenda ampliando la linea che cercava di tracciare – per includervi più
fenomeni- così che era possibile parlare di musica moderna facendo riferimento a Duke Ellington
oltre che a Stravinskij. Ma la premessa di fondo non era cambiata… C’era ancora l’idea che esistesse
una linea (oggettiva), che potesse essere trovata e definita e che avesse una direzione… Che
andasse da qualche parte; che la sua evoluzione fosse parte di un’unica narrazione. (…) Negli ultimi
due decenni (…) vediamo invece un campo ampio e denso di oggetti culturali connessi in maniera
fittissima: linee che vanno in tutte le direzioni a seconda di chi sei, dove sei e di cosa stai cercando.
(…) Quando la storia è sostituita dalle storie, il curatore diventa un narratore, la sua strada
un’avventura attraverso il paesaggio culturale, che crea significati e risonanze per combinazione e
accostamento (Brian Eno, Diario, Jaca Book, 2021, P. 326).
Un’idea delle connessioni degli oggetti culturali che si trasforma ancora, quando i manufatti artistici
perdono la propria corporeità, si smaterializzano in movimenti e sensazioni: “Supponiamo…di
smettere di pensare alle opere d’arte come oggetti e di iniziare a considerarle inneschi per
l’esperienza (è una idea mutuata da Roy Ascott)” Brian Eno, Diario, Jaca Book, 2021, P. 333).
Per Eno l’arte diventa un esercizio di conferimento di valore che permette di provare “incertezza
cognitiva controllata, di non confezionare esperienze finite ma di puntare all’incompleto”.