August Strindberg La festa del coronamento
Carbonio Editore, Collana Origine, Traduzione Franco Perrelli, Pagine 144, 13,50 euro Letteratura Straniera | Romanzo
17/05/2022 di Laura Bianchi
Qual è la casa che si sta costruendo, durante la lunga, estenuante agonia del protagonista? È davvero solo la dimora di un vicino, verso il quale egli nutre una lontana, ossessiva avversione, oppure è metafora di un'essenza più profonda, di una ricerca inesausta di un senso, a cui tendere, esattamente come i muratori, che, pietra dopo pietra, costruiscono un edificio fino al tetto, per gioire nella festa del titolo?
Strindberg non è nuovo a dialogare con le simbologie, in bilico fra gnosi e filosofia, fra tentazione nichilistica e ascesi; in questo caso, esse acquistano uno spessore ancor più intenso, anche grazie alla scelta stilistica inaspettatamente innovativa. Si tratta infatti di un lungo monologo - confessione di un uomo sofferente, che si riscuote solo a tratti dalla sedazione indotta dalla morfina, per ricomporre, con lucida disperazione, i tasselli della propria esistenza, in uno stream of consciousness joyciano, che possiede però i tratti perturbanti di un Kafka, vicini al tormento interiore di un Dostoevskij.
Insieme ottocentesco, negli ambienti tratteggiati di una Svezia borghese, intrisa di perbenismo e ipocrisie, e novecentesco, nella fisionomia di un inetto lucido e consapevole, il romanzo psicologico si muove, elastico e cangiante, fra rimpianti e rimorsi, ricordi e rancori, e trova il proprio punto nevralgico nella descrizione della dinamica di coppia, una vera e propria camera della tortura, che snocciola giorni, mesi, anni, sprofondando nella soffocante, ripetitiva mediocrità, che non cerca colpevoli - anche se, nell'io narrante, la misoginia è in agguato - perché non ha senso cercare vittime e carnefici, in un rapporto schiavo delle convenzioni sociali.
Strindberg sa come catturare il lettore, portarlo al centro della propria riflessione, spingerlo a provare empatia con il conservatore di museo ferito a morte, a commuoversi financo, nell'indimenticabile, catartica scena finale: perché lo scioglimento della vicenda è, anche, il proscioglimento del protagonista dalla prigione della sofferenza, di un male di vivere, che gli impediva di concepire la vita come (alla Fossati) la costruzione di un amore, che si fa più vicino al cielo.