Andrea Scanzi

Andrea Scanzi Elogio dell’invecchiamento


2008, Strade Blu Mondadori - Pag.310 Saggi

di Maurizio Pratelli
Anche per il vino, come per la musica, varcare il confine che divide la passione dal feticismo è un attimo. Un attimo fatale. E quando succede, quasi sempre, non c’è via di scampo. O di ritorno. Il libro di Andrea Scanzi è il testo che tutti dovrebbero leggere prima di lasciarsi trasportare dall’altra parte, prima che il vino diventi un’altra ossessione. Che ci può stare, per carità. Non voglio certo dissuadervi solo per il timore che tutto ciò possa produrre nuove dannose sbronze. Non è certo questo il pericolo. Così come un feticista della musica non morirà sordo, un feticista del vino non morirà ubriaco. Collezionare bottiglie come dischi, solo per il gusto di averle, ecco dove si annida la sirena che trasforma un semplice appassionato in una vittima che riempie scaffali senza più il piacere di andare per concerti, ops, per cantine. Scanzi, penna leggera ed ironica, giornalista musicale e sportivo, dopo aver fatto corsi e relativi esami, è diventato sommelier e quindi degustatore ufficiale Ais. Uno di quelli, tanto per intenderci, che imitava Antonio Albanese (la gag in cui dopo aver annusato e roteato a lungo il suo bicchiere di vino sentenziava “è rosso!”, era irresistibile), e che lo stesso Scanzi vuole in qualche modo dissacrare chiamandoli “fingitori”.
Almeno quelli “televisivi”, i tanti soloni che riconoscono sentori impossibili e magari pure l’annata del vino in una degustazione cieca. Andrea, accostando trattorie e canzoni, ci riporta nelle terre del vino attraverso un lungo viaggio tra i produttori italiani che ancor amano il loro vino, la loro cantina, la loro vigna. Quelli che non usano trucchi, più o meno leciti. Quelli, come il piemontese Roddolo, che il vino lo sanno ancora aspettare, che non espiantano dolcetto per produrre un più redditizio nebbiolo. Se le terre producono quel vitigno, forse ci sarà un perché.
Scrive Scanzi “la cosa che amo del vino è quello che mi fa capire. La verità è che amo pensare alla sua vita. Il vino è un essere vivente. Amo immaginare l’anno in cui sono cresciute le sue uve: se c’era un bel sole, se pioveva. Una bottiglia di vino ha vita: è in costante evoluzione, acquista complessità. Finché non raggiunge l’apice. E poi comincia il suo lento, inesorabile declino. Il vino è come noi, per questo lo amiamo”.
Insomma non si scoprono solo i dieci migliori vini italiani, qui si affronta con coraggio e amore un mondo, quello enologico, che ha spesso barato a scapito di chi segue le regole. Non solo quelle stabilite per legge dal tanto temuto “disciplinare”, ma anche quelle inviolabili stabilite dalla natura e dal buonsenso.
Allora mettiamola così, ecco un piccolo decalogo di ciò che potrebbe succedere dopo aver letto questo ottimo libro del bravo Andrea Scanzi.
1. Non diventerete sommelier. Questa è l’unica certezza
2. Andrete a scoprire o rivedere “Sideways”, un buon film d’annata.
3. Riascolterete un vecchio disco di Keith Jarrett o dei Wilco, dipende dal vino che state bevendo.
4. Eviterete qualche brutta figura al ristorante.
5. Farete un giretto in qualche buona cantina.
6. Diventerete “fan” dei monovitigni, ma non è indispensabile.
7. Distinguerete un Barolo da un barolo, immaginando che da un Aglianico sappiate già farlo.
8. Smetterete di pensare che il prezzo fa il buon vino.
9. Leggerete altri libri sul vino.
10. Diffiderete dagli astemi.
Che altro aggiungere se non che il vino va comprato, curato e bevuto. Magari avendo “solo” la pazienza di aspettare che diventi un capolavoro. Attraverso l’arte dell’invecchiamento.