Andrea G. Pinketts La capanna dello zio Rom
Ed. Mondadori, 2016 Narrativa Italiana | Noir
18/07/2016 di Corrado Ori Tanzi
La capanna dello zio Rom è il nuovo calembour grammaticale dello scrittore milanese, un pastiche letterario dentro cui di tanto in tanto si intravede un’esile trama (che è del tutto inutile accennare) nascosta da piste cifrate di aggettivi, reticolati di sostantivi, verbi senza schema e rosoni sintattici che ci portano a percepire con l’udito il nome di Alessandro Bergonzoni per come si gioca a pongo con l’idioma e le battute sconclusionate (ma in questo caso con un gusto decisamente meno d’impatto) di Maurizio Milani.
Lazzaro Santandrea, la sua longa manus letteraria, agisce dentro una Milano disfatta che si sta pian piano decomponendo dentro l’ennesimo cambiamento popolare di facce e abitudini che si riscontra in ogni strada della città, si cammini per via Foppa, via Coni Zugna, piazza Bolivar o via D’Alviano. La mano resta la medesima de Il vizio dell’agnello o de Il conto dell’ultima cena, il testo penso sia stato anch’esso incominciato come tradizione vuole il giorno di Ognissanti, ma ormai il personaggio Pinketts ha decisamente preso il sopravvento sulla creatività dello scrittore che ancora vi alberga dentro. Qualche anno fa a Piacenza per il festival Dal Mississippi al Po lo sentii lanciarsi in un’improvvisa filippica contro Moni Ovadia a cui augurò ogni fiamma dell’inferno. Un lungo attacco insensato che il suo essere autore non avrebbe mai consentito di sottoscrivere, ma che il personaggio televisivo (che dentro quel corpo è ospite ormai con superiore diritto) era obbligato a fare per creare sconcerto e stupore.
In quella circostanza ci riuscì (tralasciando le valutazioni sul modo e sulla sostanza). In queste quasi quattrocento pagine la luce è un flebile barbaglio alla luna. Troppo Le Trottoir alla lunga può anche far male.
Andrea G. Pinketts, La capanna dello zio Rom, Mondadori, pagg. 396, euro 19
Corrado Ori Tanzi
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