André Gide

André Gide L’immoralista


Garzanti, 2002, € 9,00

di Simona
L’immoralista del titolo è Michel, l’io narrante che ascoltiamo in una sorta di confessione davanti a tre amici richiamati a sé per aiutarlo a uscire da uno stato di torpore fisico e mentale derivante dalla consapevolezza del male commesso, ma incapace di reagire da solo. Siamo a cavallo fra otto e novecento, Michel sposa una donna che non ama veramente e durante il viaggio di nozze in Africa, in quella terra calda e sensuale, inizierà un viaggio dentro se stesso per liberarsi dalla rigidità puritana e convenzionale, lasciandosi andare alla sensualità e, attraverso questa, alla affermazione del vero sé. Questo percorso, tuttavia, seppure mascherato da una patina intellettuale che porta l’impronta del nichilismo nietzchiano, nasconde in realtà pulsioni ben più difficili da confessare, e si trasformerà in nulla più che nell’affermazione del proprio egoismo e della propria granitica volontà edonistica.

“… Ognuno desidera assomigliare il meno possibile a se stesso; ognuno si costruisce un modello, poi lo imita; accetta addirittura un modello già scelto. Si dovrebbero cercare altre cose nell’uomo, io credo. Ma non si osa farlo. Non si osa voltare pagina. … Quello che sentiamo in noi di diverso, è la parte più preziosa, quella che determina il valore di ciascuno, eppure si cerca di sopprimerla. Si ricorre all’imitazione, pretendendo così di amare la vita.”

Il percorso interiore di Michel è anche un percorso reale: quando va in Africa è debole e malato: la malattia per la prima volta lo costringe a prestare attenzione al corpo; in seguito la guarigione fisica lo convincerà della necessità di approfittare della salute e del vigore per appagare i propri impulsi sensuali. Tuttavia Michel non riesce a staccarsi totalmente dalle convenzioni, tornato in Francia cercherà di adattarsi ad una vita più convenzionale, con un lavoro e la moglie in attesa di un figlio. Ma mentre dentro di lui matura sempre di più la necessità di dare sfogo al proprio vero sé nell’affermazione della propria voluttà, parallelamente Marceline si fa sempre più debole, quasi soffocata dalla spinta edonistica del marito. Perde il bambino, Michel la convince dell’opportunità di un nuovo viaggio nei luoghi che li hanno visti felici, anche se in realtà il suo desiderio è quello di ritrovare quella primordiale gioia sensuale che aveva conosciuto in Africa. Marceline lo asseconda, ma è debilitata e peggiora via via nel proseguio del viaggio, il meridione, l’Italia, l’Africa. Eppure Michel va avanti, sempre più a sud, fino alla fine.

“Cercai dunque, una volta ancora, di tenermi stretto il mio amore. Ma avevo bisogno di una felicità tranquilla? Quello che mi dava e che rappresentava per me Marceline, era come un riposo per chi non si sente stanco. Ma poiché sapevo che era spossata e che aveva bisogno del mio amore, la ricolmai di tenerezza fingendo che fosse per il bisogno che ne provavo io stesso. Sentivo in modo intollerabile la sua sofferenza; ed era per poterla strappare alla sofferenza che l’amavo.”

Quando tutto è terminato Michel, quasi attonito, chiede aiuto agli amici, consapevole del proprio “delitto”: ma forse è troppo tardi e l’agire vizioso ha ormai preso il sopravvento. Eppure Michel si rende conto che la vita edonistica da lui teorizzata non può avere pretese razionali, e come Gide, seppure fortemente attratto da tali lusinghe, cerca di vincerle ma non per conformismo, bensì per un più alto imperativo etico. La razionalità lineare, la scrittura asciutta e l’attenzione al senso etico del libro appartengono a una scrittura poco epica e romanzesca, che forse non a tutti può piacere. Tuttavia L’immoralista è breve e privo di difficoltà nella lettura, tanto da rappresentare comunque una buona occasione per conoscere Gide, la cui lucidità e il cui doloroso senso etico ne fanno un autore da conoscere e apprezzare.

“Michel restò a lungo in silenzio…Aveva terminato il suo racconto, senza un tremito nella voce, senza che un’inflessione né un gesto testimoniassero che un’emozione lo turbava…Non riesco, neanche adesso, a capire quanta parte abbiano in lui l’orgoglio, la forza, l’aridità o il pudore. Dopo un momento, proseguì: -Quello che mi spaventa, lo confesso, è di essere ancora molto giovane. Mi sembra, a volte, che la mia vera vita non sia ancora cominciata. Strappatemi di qui, adesso, e datemi delle ragioni per vivere. Io non so più trovarne. Ho conquistato la libertà, può darsi: ma che cosa importa? Soffro di questa libertà che non metto a frutto. ..Avevo, quando mi avete conosciuto, una grande fermezza di pensiero, e so che è questo che fa il valore di un uomo; ora non l’ho più. Ma la causa, credo, è in questo clima. Non c’è niente che renda così difficile l’attività del pensiero quanto un cielo costantemente azzurro…”