Alessandro Robecchi

Alessandro Robecchi Di rabbia e di vento


Sellerio, 2016 Narrativa Italiana | Noir

14/04/2016 di Corrado Ori Tanzi
Carlo Monterossi (e Milano), atto terzo. Dopo Questa non è una canzone d’amore e Dove sei stanotte, questa volta è il tempo di una città ben poco amichevole, se non proprio ostica, per il protagonista. Una Milano ventosa a restare nel titolo, Di rabbia e di vento, che Alessandro Robecchi ha scelto per raccontarci una storia corale di ordinaria criminalità urbana.

Corale come ad esempio i detective in campo. A partire da Monterossi, autore di programmi televisivi che lui per primo detesta; Tarcisio Ghezzi, il vice sovrintendente di polizia, Carella, l’autentico detective della Storia. Corale come i soggetti/oggetti che entrano a punta affilata nel racconto: prostitute ricche e battone del popolo, bische che sanno tanto di anni ’70 (ma l’ambientazione è contemporanea a noi), strozzini, banditi che ritornano da un passato che la criminalità non permette mai di coniugare al passato, immigrati che stanno diventando più milanesi del panettone, avvocati di cui fanno paura solo i loro studi, imprenditori dell’etere e conduttrici-belve televisive, politici oscuri e pulotti che arrivano dal Sud che si riempiono di rabbia e il cui conto corrente è fatto tenere magro.

La storia gira attorno alla bella Anna, donna elegante a pagamento finita dentro una sorta di cubo di Rubik investigativo. Un bicchiere con Monterossi a casa di lei (niente sesso siamo milanesi), lui che se ne va mentre lei è già nel mondo dei sogni e la mattina il ritrovamento del cadavere della donna, uccisa con violenza continuata e inaudita. Nella città che resta da bere parte il mistero, con le sue piste deviate, i nodi dell’altroieri, conti che non è possibile non pagare.

In mezzo, una Milano che più nero non si può. Claustrofobica e agorafobica a seconda dell’angolo di visuale. C’è tanto in questo romanzo dell’ex bimbo prodigio di Radio Popolare. Forse troppo. Anzi, decisamente troppo. Frutto di un bestiale sforzo autoriale di restituzione di una città “livida e sprofondata per sua stessa mano” (trovatevela voi la fonte della citazione) con tutta quella ragnatela di vie e viette che alla lunga incomincia a disorientare. A scapito però di qualcosa di più succoso per il lettore: gli attori che pirlano (nel senso che ruotano, girano a vuoto) sulla scena. Personaggi che non vanno oltre il loro profilo descrittivo, dotati di una freddezza che in un noir è piacevole come un calcio con lo stivaletto a punta proprio in mezzo ai gioielli di famiglia.

In primis il protagonista, Carlo Monterossi. Proprio non convince il suo ruolo professionale di padre di spazzatura televisiva di successo, l’attitudine a restare nel distacco delle cose che affronta e la catapulta continua nel mare di Bob Dylan che non smette di ascoltare in macchina. Con compagnia cantante al seguito. D’accordo decidere per scelta stilistica di parlare esclusivamente di uomini e donne incapaci di lasciare un segno, ma un po’ più di scavo personale e una tavolozza di scrittura che prevedesse anche l’emozione forse avrebbe reso l’intera compagnia più credibile. Perché prima o poi si deve arrivare a un culmine emotivo, costruens o destruens non importa. Invece la storia non ha mai un cambio di marcia stilistica. Non cade, ma neanche mai che provi un volo che sia uno. Un’uniformità che non lascia macchie e impronte. E in un giallo, capirete…

Il quesito vero vira verso l’autore. Che si possa affermare ora che ha qualche titolo sulle spalle che Alessandro Robecchi, penna arguta e piena di sfumature non sia esattamente uno scrittore?

Alessandro Robecchi, Di rabbia e di vento, Sellerio, 416 pagg, 15 euro

 

Corrado Ori Tanzi - https://8thofmay.wordpress.com


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