Alessandro Agostinelli Benedetti da Parker
Cairo, 2017 Biografie | Musica
05/12/2017 di Eliana Barlocco
Il libro di Alessandro Agostinelli, Bendetti da Parker, ripercorre la vita di Dean: dagli esordi alla fine. Ci racconta, con ritmo scattante, l’uomo e la sua grande passione per il jazz. Ci narra la perdizione, rimandandoci la sensazione di vita al limite. Il limes risulta doppio, se non triplo. Da un lato il baratro delle droghe, dall’altro il bilico di non sentirsi parte di un sistema (Benedetti era figlio di immigrati) e infine l’essere un bianco di origine italiane che si interessa al jazz. Non era del tutto americano e non era del tutto italiano. “La guerra, sì, c’era stata la guerra. C’erano stati gli americani. Erano i loro nuovi idoli gli americani, ma io non ero né tutto americano, né tutto italiano. Ero un bastardo che aveva passato il confine. La mia famiglia era di Torre del Lago, i miei parenti erano sempre vissuti qui, ma il pedigree io non ce l’avevo. Era proprio così. Avevo solo attraversato la frontiera. Sono il bandolero stanco? Va bene. Andate tutti affanculo...”
Una volta in Italia, il suo discostarsi dalla provinciale normalità è accentuato anche dalla malattia. Colpito dalla miastenia gravis, una patologia che distrugge i tessuti muscolari, vaga trascinandosi in quella provincia italiana appena uscita dalla guerra, dove lo straniero è visto come un nemico, un diverso, uno da evitare. Il suo passo lento causato dalla miastenia gli cuce addosso l’immagine del ” bandolero stanco”. Ma in realtà stanco non lo sarà mai. La passione che lo pervade, che brucia nella sua anima si riversa sui pochi amici che lo circondano, che vedono in lui il jazz e tutto ciò che questo comporta: “Bugie sociali per difendere la verità intima di una passione, quella per la musica, di cui tutti, quando andava bene, vedevano soltanto l’esecuzione, senza sapere o facendo finta di non sapere un cazzo di tutta la merda e il coraggio che ci stavano dietro.”
Ancora una volta il grande amore per la musica fa da collante ad una vita vissuta in velocità d’esecuzione (muore a 34 anni come Parker), condita di melodie dissonanti e nervose, improvvisata su poche note che si rincorrono e si susseguono vagando su differenti linee armoniche e restituendoci l’essenza del jazz: “...la musica jazz a volte si risolve in un minuto. Ma dietro a quel minuto c’è una vita di dedizione assoluta. La rapidità dell’esecuzione, dell’improvvisare nasce sul momento perché la musica è sempre nella testa, ogni giorno, ogni momento”.