Albert Camus

Albert Camus Lo straniero


Bompiani, 1997, € 6,50

di Simona
“Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”. Così comincia Lo Straniero, e queste poche parole sono sufficienti per trasmettere una sorta di sconcerto che accompagnerà ogni pagina del libro. Meursault, il modesto impiegato di origine francese protagonista del libro, affronta infatti con la stessa laconicità comunicata da questa prima frase una serie di episodi che lo condurranno ad un epilogo che sarebbe tragico, se non fosse vissuto nella stessa maniera spregiudicatamente attonita. Siamo ad Algeri, dove il sole battente, il caldo soffocante e il sudore pervadono le pagine del romanzo e attanagliano i sensi del protagonista. Alla notizia della morte della madre nell’ospizio presso cui l’aveva ricoverata, segue l’invitabile funerale, al quale Meursault assiste in stato quasi apatico, continuando a pensare di avere caldo, e sonno, e fame. Poi Meursault torna a casa, vede la sua donna la quale, anch’essa quasi con indifferenza, gli chiede di sposarla. Meursault risponde che per lui è lo stesso, e che se proprio lei ci tiene possono farlo, ma il discorso cade, astratto così com’era cominciato. Successivamente irrompe nella lucida solitudine di Meursault il vicino di casa. Costui gli chiede notizie del proprio cane che ha smarrito, disperato e piangente come se quotidianamente non lo maltrattasse e lo picchiasse selvaggiamente come invece fa. L’impiegato prende atto dell’intervento del vicino, ma non ha molto da dire. In seguito Meursault va a passare un fine settimana al mare con degli amici e là, in un caldo dopopranzo sonnacchioso, quasi contro la propria volontà la sua mano spara contro un arabo. Così, impassibile, Meursault si consegna nella stessa maniera attonita alle conseguenze avviate dal suo gesto, lontano come se tutto capitasse ad un altro. Non cerca giustificazioni e afferma di non sapere perché ha commesso quel delitto. Viene celebrato il processo; Meursault viene condannato. A morte. Si celebra anche il ricorso. Meursault viene condannato e giungerà al giorno fatidico silenzioso e apatico, lasciando spazio solo ad uno sfogo contro il sacerdote venuto a raccogliere la sua confessione.

(…) Allora, non so per quale ragione, c’è qualcosa che si è spezzato in me. Mi sono messo a urlare con tutta la mia forza e l’ho insultato e gli ho detto di non pregare che è meglio ardere che scomparire. (…) Aveva l’aria così sicura, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era nemmeno sicuro di essere in vita dato che viveva come un morto. Io ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in questo modo e avrei potuto vivere in quell’altro. (…) E poi? Era come se avessi atteso sempre quel minuto…e quell’alba in cui sarei stato giustiziato. Nulla, nulla aveva importanza e sapevo bene il perché. Anche lui sapeva perché. Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio uguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo. Cosa mi importavano la morte degli altri, l’amore di una madre, cosa mi importavano il suo Dio, le vite che ognuno si sceglie, i destini che un uomo si elegge, quando un solo destino doveva eleggere me e con me miliardi di privilegiati che, come lui, si dicevano miei fratelli? Capiva, capiva dunque? Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati, Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato. Che importa se un uomo accusato di assassinio è condannato a morte per non aver pianto ai funerali di sua madre?

Il cinismo, il vuoto e l’indifferenza del protagonista risultano a tratti persino scioccanti perché si tratta di quella che potrebbe essere definita una persona perfettamente normale, ma completamente vuota emotivamente e spiritualmente, totalmente materialista, concentrata solo sui propri piaceri e desideri… non si può nemmeno parlare di passioni. Tutta questa indifferenza rimane rigorosamente senza spiegazioni, senza ragioni e tanto meno soluzioni: è una verità “negativa” quella cui arriva Camus, forse non definitiva ma comunque essenziale per giungere ad una consapevolezza reale di sé. E questo, per un libro, ci basta.

…Non ho guardato dalla parte di Maria. Non ne ho avuto il tempo perché il presidente mi ha detto in una forma strana che mi sarebbe stata tagliata la testa in una pubblica piazza in nome del popolo francese. Mi è parso allora di riconoscere il sentimento che leggevo su tutti i volti; credo proprio che fosse del rispetto. I gendarmi mi guardavano con molta dolcezza. Io non pensava più a nulla. Ma il presidente mi ha chiesto se avevo qualcosa da aggiungere. Ho riflettuto. Ho detto: “No”. E’ allora che mi hanno portato via.