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Kozminski. Un nome difficile come un sospetto, come un tackle disperato sull’asfalto di una strada impossibile. Sono di Milano, anche se le cinque carte d’identità coprono l’intero stivale. E tutto quello che finisce nella loro musica in definitiva non è altro che il tentativo di restituire la poesia che si respira negli appartamenti affacciati sulle circonvallazioni, gli abissi che si scorgono negli spartitraffico affollati di rifiuti, ma anche la mirabolante vertigine del mondo che si compone appena dietro i nostri occhi. L’immagine è più o meno questa: un cantautore sonnambulo che vaga per le vie della città all’interno di una vestaglia piovra multicolore cantando canzoni suggeritegli direttamente dalle radici degli alberi che spaccano i marciapiedi e scombinano i lastroni del pavè.