Wim Wenders

Drammatico

Wim Wenders Paris, Texas


1984 » RECENSIONE | Drammatico | Versione restaurata
Con Harry Dean Stanton, Hunter Carson, Justin Hogg, Nastassja Kinski, Dean Stockwell



12/11/2024 di Valeria Di Tano
Dal 4 novembre è nelle sale italiane, nell'ambito di "Il Cinema Ritrovato al cinema", progetto di distribuzione della Cineteca di Bologna, Paris, Texas, l'iconico film di Wim Wenders. Ecco le emozioni di Valeria Di Tano.

 

Ho sentito nominare la prima volta questo capolavoro di Wim Wenders dalle pagine di Marco Rossari e del suo "Nel cuore della notte", ed è stato amore a prima vista. Oggi, a quarant'anni dalla sua uscita e dalla Palma d'oro che lo decreta miglior film a Cannes nel 1984, l'ho visto al cinema, in lingua originale. Ed è stato tutto: commozione, sconquasso, amore, amarezza, tensione e pace. Merito del soggetto e della sceneggiatura, a opera di Wim Wenders e del magnetico Sam Shepard, frutto delle incursioni di Kit Carson, della affinità letteraria e spirituale che deve essersi diffusa sul set e intorno al set, durante la lavorazione del film.

Inutile sottolineare che la mano di Wenders è un tocco delicato e profondo nei pensieri dei suoi protagonisti, nei loro sentimenti soffocati e resi muti dal dolore e piano piano lasciati sbocciare, come piccoli fragili fiori nel deserto del Texas.
Superfluo ripetere che la fotografia di questo film (come di tutta l'opera di Wenders) è un tributo alla bellezza: le linee naturali, i colori sfuocati, la grana spenta delle sequenze in cui Travis si riavvicina al senso della vita, della famiglia e ritrova se stesso, si fondono, venendo inghiottiti dalla sfacciataggine delle tinte, accese e fluo, del locale di peep show. Tutto diventa vivo e alterato come una storia raccontata a voce alta e sguaiata, facile da interpretare nel modo sbagliato, nel modo più comodo: è a questo punto che hanno luogo i dialoghi più intensi del film, sussurrati al telefono, dietro un vetro, tra un uomo e una donna che nemmeno si sanno guardare negli occhi. Ma si sentono.

Mioddio, quanto si sentono.
Paris, Texas è un film lento, come lo è il percorso che Travis compie su se stesso in quattro anni di solitudine e silenzio a vagabondare nel nulla alla ricerca di niente. D'altra parte, quando si è perso ciò che si amava di più, non c'è altro da desiderare, e, in questa realtà di abbandono e di sconfitta, Travis è perfetto: un eroe che ha fallito, traballante e finalmente consapevole, che riesce a perdonare se stesso solo per trovare la forza di amare di più, amare più forte e, alla fine, lasciare andare.
Il confronto tra Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski (Travis e Jane) è un pezzo gigante di cinema, un inno alla forza della parola e dell'immagine allo stesso tempo: ogni dettaglio del loro ultimo scambio è impeccabile. Il vetro trasparente non è che un inganno (è un muro netto e invalicabile che li rende ciechi), il buio diventa il solo strumento per guardarsi, darsi le spalle a vicenda l'unico modo in cui sentirsi davvero vicini.


Negli ultimi venti minuti di film si parla d'amore, quello perfetto che rende felici. Eppure, mano a mano che gli occhi di Kinski si fanno enormi e smarriti dentro le parole di Stanton, si comprende che l'amore separa, a volte.
Poi si spezza, anche.
Eppure, vive lo stesso.

"Ogni uomo ha la tua voce".


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