Thom Zimny Road Diary Bruce Springsteen and The E Street Band
2024 » RECENSIONE | Documentario | Storico
Con Bruce Springsteen and the E Street Band
30/10/2024 di Valerio Corbetta
Poi ci sono i duri e puri che nemmeno sotto tortura ti direbbero che gli ultimi pezzi degni di nota (usciti su “Letter to you”) sono vecchi di quarant’anni, e per loro se anche cantasse “Il ballo del qua qua” andrebbe bene comunque. Ci sono i patiti dei pit, delle transenne, delle call, di quell’inedito sentito a un concerto di Southside Johnny o quell’altro sussurrato alla festa dei Veterani a fianco di Willie Nile.
È un popolo in continua evoluzione, dal 1972 a oggi: due, tre generazioni di fan che tra le mille sfaccettature, i contrasti, le divisioni tra i pre-“The River” e i post-“BTUSA”, gli “io c’ero a Zurigo ‘81” e i “mi sono fatto 6 tappe delle Seeger Sessions” alla fine sono sempre lì, a sentir battere il cuore appena l’omino del New Jersey infila il jack e la tracolla.
Mentre lui va avanti per la sua strada, divertendosi con i vecchi amici e proponendo ogni volta qualcosa di diverso, seguendo un percorso zigzagante, saltando tra innovazione e tuffo nella tradizione come tra ballad e rock sudante nelle scalette dal vivo.
L’uscita di “Road Diary”, dalla scorsa settimana disponibile sulla piattaforma di Disney+, ha riacceso le discussioni. Un docu-film di un’oretta e mezza, che racconta il dietro le quinte del penultimo tour di Springsteen con la E Street Band, quello del 2023. Il primo dopo una sosta, più o meno forzata, di sei anni: un’eternità per un artista che ha fatto dei live la sua ragion d’essere.
Immagini inedite anche del passato remoto, interviste ai componenti della band (si scopre così che anche Gary W. Tallent ha il dono della parola. E sorride pure…), allo stesso Bruce, alla moglie, ai manager, anche le - evitabili e retoriche - battute concesse ai fan. Un lavoro di assemblamento di immagini e suoni che ha il pregio di svelare in parte la preparazione del concerto, la maniacale ricerca del suono e dell’incastro perfetto tra i musicisti sul palco, l’amicizia che lega i componenti della E Street Band col loro “capo”.
Tornando alle fazioni di cui sopra, per evitare di scatenarle, accettate un consiglio: mettetevi seduti, rilassatevi, tenete birra e stuzzichini a portata di mano e pigiate sul telecomando la app di Disney+. Ah, dimenticavo: toglietevi i paraocchi del preconcetto e godetevi lo spettacolo. Perché magari non ce n’era bisogno assoluto, forse è un progetto fine a se stesso, può essere che sia l’ennesima celebrazione di un personaggio che ormai ha poco da svelare e pure da dare come artista in devoluzione. Ma, quando parte il primo colpo di rullante di Max, quando il sax di Jake va a cercare note impensabili, quando il basso di Gary inizia a battere, quando le dita di Roy prendono a martellare sulla tastiera, quando le chitarre di Nils e di Little Steven alzano i toni della battaglia intessendo le trame con quella giallognola e tutta graffiata di Bruce, beh, non ci sono correnti, fazioni, schieramenti che tengano.
Se l’emozione è ancora e sempre quella, anche un documentario che aggiunge poco al conosciuto di Springsteen ha la sua ragion d’essere. Perché è sempre quella la discriminante di un’opera: deve smuoverti qualcosa dentro. E questa, che tu sia estremista da una parte o dall’altra, o pure un semplice appassionato di rock che le ha viste quasi tutte, lo fa.