Tate Taylor The Help
2011 » RECENSIONE | Drammatico
Con Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain
07/02/2012 di Paolo D´Alessandro
Hollywood si innamora molto facilmente delle storie di “apartheid” o di conciliazione razziale, specie di quelle con finale strappalacrime. Ne abbiamo viste tantissime, certo, e per certi versi The Help non fa eccezione.
Per certi, appunto. Perché Hollywood ha fatto fatica a innamorarsi di questo film: Tate Taylor e la sua strettissima amica Kathryn Stockett, autrice del romanzo originale, hanno inseguito per lungo tempo questo progetto, bussando per venti volte almeno alla porta delle case di produzione. E, alla fine, c’è voluta la Dreamworks e un asse indiano-arabo per far conoscere questa storia al mondo.
Jackson, Mississippi, 1960: Skeeter (Emma Stone), figlia della bianca borghesia locale, torna a casa dal college, decisa a diventare una scrittrice. Presto, dovrà fare i conti con il forte razzismo che attraversa il piccolo mondo di Jackson, dove una determinata e republicanissima coetanea, Holly Holbrook (Bryce Dallas Howard), sta tentando di segregare la servitù nera in modi sempre più meschini (impedendo loro anche solo di utilizzare lo stesso bagno dei loro datori di lavoro bianchi). Esasperata, Skeeter decide di raccogliere le testimonianze delle governanti, a partire da quella di Aibileen (Viola Davis) e Minny (Octavia Spencer): ne nascerà un libro - The Help, appunto – che contribuirà a spezzare i pregiudizi della cittadina.
Non è solo nella cura scenografica, nella fotografia ariosa e colorata, negli accenni di colonna sonora d’epoca che si crea la credibilità di questo film, ma nella fedeltà a un feeling umano e storico, fatto di consonanze e contrasti, di rapporti descritti con una sobrietà calda e non indifferente. Taylor tiene la mano ferma il più possibile, mentre lascia che a esplodere siano le performance delle magnifiche attrici chiamate a restituirci uno stralcio di Storia inesistente, ma più vero del Vero (al di là delle necessarie note melodrammatiche).
Forse è questo il vero catalizzatore della pellicola e del libro da cui è stata tratta: alla prigione dell’esistenza suburbana, alla codarda fantasmagoria borghese fatta di rispettabili famiglie e acconciature perfette, si sfugge solo con la forza del racconto – della parola, della parola su carta, della carta su schermo, delle idee “radicali” che sanno di verità. Solo questo ci libera dalle catene che ci imprigionano alle convenzioni: il ricordarci chi siamo, con le parole più semplici che sappiamo, e il linguaggio più naturale che conosciamo (diciamo la compassione, se non vogliamo urlare proprio all'Amore). E a quel punto si può concludere solo con un nuovo, commovente punto di partenza.
Per certi, appunto. Perché Hollywood ha fatto fatica a innamorarsi di questo film: Tate Taylor e la sua strettissima amica Kathryn Stockett, autrice del romanzo originale, hanno inseguito per lungo tempo questo progetto, bussando per venti volte almeno alla porta delle case di produzione. E, alla fine, c’è voluta la Dreamworks e un asse indiano-arabo per far conoscere questa storia al mondo.
Jackson, Mississippi, 1960: Skeeter (Emma Stone), figlia della bianca borghesia locale, torna a casa dal college, decisa a diventare una scrittrice. Presto, dovrà fare i conti con il forte razzismo che attraversa il piccolo mondo di Jackson, dove una determinata e republicanissima coetanea, Holly Holbrook (Bryce Dallas Howard), sta tentando di segregare la servitù nera in modi sempre più meschini (impedendo loro anche solo di utilizzare lo stesso bagno dei loro datori di lavoro bianchi). Esasperata, Skeeter decide di raccogliere le testimonianze delle governanti, a partire da quella di Aibileen (Viola Davis) e Minny (Octavia Spencer): ne nascerà un libro - The Help, appunto – che contribuirà a spezzare i pregiudizi della cittadina.
Non è solo nella cura scenografica, nella fotografia ariosa e colorata, negli accenni di colonna sonora d’epoca che si crea la credibilità di questo film, ma nella fedeltà a un feeling umano e storico, fatto di consonanze e contrasti, di rapporti descritti con una sobrietà calda e non indifferente. Taylor tiene la mano ferma il più possibile, mentre lascia che a esplodere siano le performance delle magnifiche attrici chiamate a restituirci uno stralcio di Storia inesistente, ma più vero del Vero (al di là delle necessarie note melodrammatiche).
Forse è questo il vero catalizzatore della pellicola e del libro da cui è stata tratta: alla prigione dell’esistenza suburbana, alla codarda fantasmagoria borghese fatta di rispettabili famiglie e acconciature perfette, si sfugge solo con la forza del racconto – della parola, della parola su carta, della carta su schermo, delle idee “radicali” che sanno di verità. Solo questo ci libera dalle catene che ci imprigionano alle convenzioni: il ricordarci chi siamo, con le parole più semplici che sappiamo, e il linguaggio più naturale che conosciamo (diciamo la compassione, se non vogliamo urlare proprio all'Amore). E a quel punto si può concludere solo con un nuovo, commovente punto di partenza.