Sam Peckinpah

drammatico

Sam Peckinpah CANE DI PAGLIA


1971 » RECENSIONE | drammatico
Con D.Hoffman, S.George, D.Warner, T.P.McKenna

di Salvatore Molignano
I cani di paglia accettano silenziosamente il proprio destino, supinamente e senza lamentarsi mai. A volte però, i cani di paglia prendono fuoco. E’quanto si legge nell’introduzione di questo film di Sam Pechinpah, tratto dal romanzo “The Trenchers’s farm” di Gordon M.Williams. L’animale cui s’allude è colui che vive facendosi mettere i piedi in testa da tutti, sopportando passivamente ogni tipo di sopruso. Proprio come il protagonista del film, l’ottimo Dustin Hoffmann, che impersona un timido e smidollato professore americano che sceglie di trasferirsi con la bella moglie (Susan George) in uno sperduto paese della provincia scozzese. La vita del tranquillo professore viene messa presto a dura prova dai comportamenti degli uomini del posto. Attratti dalla moglie infatti, tre giovani spavaldi s’introducono spesso in casa sua per “sfidarlo” silenziosamente, intuendone l’indole arrendevole. Assistiamo così a un crescendo di soprusi: l’uomo viene prima deriso e insultato, poi gli fanno trovare il gatto impiccato nello sgabuzzino. Sua moglie, che ne conosce bene il carattere, lo esorta a difendersi e difendere lei, ma ciò oltre a farlo innervosire lo spinge a chiudersi nel suo studio dove si sente inconsciamente protetto. Sarà la donna a ribellarsi al posto suo, ma verrà stuprata in casa propria prima da uno, poi da un altro pretendente. Una sera, tornando da una celebrazione paesana in automobile, la coppia investe involontariamente un malato di mente famoso nella comunità e per questo emarginato. Questi ha appena ucciso una ragazzina senza rendersene neanche conto e sta fuggendo per la brughiera. Ferito, viene soccorso e ospitato dal professore. Appena saputo dell’accaduto, la banda si dirige verso casa sua con intenti minacciosi, con la volontà di farsi giustizia da soli. S’assiste a partire da adesso, al cambiamento aggressivo del “cane di paglia”. Con forza egli resiste alle minacce dei bifolchi e li caccia da casa sua. Barricatosi in casa con la moglie, resisterà col pugnale fra i denti all’assedio della banda, che vuole entrare a tutti i costi, distruggendo i vetri. Nel giro di mezz’ora, anche se solo per legittima difesa, il professore farà fuori tutti e quattro. Cane di paglia è stato un film molto discusso, e può anche deludere a una prima visione. Resta in ogni caso un importante saggio cinematografico sulla violenza dei rapporti umani, spesso manifestati in provincia. Nell’ultima parte, la violenza assume aspetti quasi irreali ed esagerati, da allegoria; è tutto nelle corde del cinema di Peckinpah (suo l’ultimo western classico, “Il mucchio selvaggio”), un cinema fatto di crudezze, nostalgico e dallo svolgimento alquanto violento. L’uomo nei suoi film è visto come una scimmia omicida. La violenza di quest’ opera (e di molte altre firmate da lui) è a suo dire giustificata dal fatto che gli uomini sono bestie come e più delle altre che popolano il pianeta. La sua è la tipica difesa del territorio (<>), nel caso del professore , egli difende con ogni mezzo la sua proprietà. Gli energumeni stessi che lo minacciano, si sentono in origine minacciati dall’arrivo sul loro territorio dell’ospite indesiderato. Tutto accade nel film affinchè al “cane di paglia” si pesti la coda e si facciano svegliare i moti repressi nel suo animo, brutalità, violenza, astuzia e cinismo, che gli si ripropongono per la sua sopravvivenza. Egli perderà in questo modo la sua “innocenza” perchè costretto dalla contingenza. E’un monito chiarissimo che il regista rivolge verso tutti noi. Una nota a parte merita la figura femminile: è quasi implicito che la lotta finale e il conseguente assedio nella casa avvenga in realtà per conquistare lei. Pechinpah traccia una figura ambigua e colpevole; per tutto il film vuole vendicarsi del marito, mostrandosi in atteggiamenti provocatori verso gli energumeni. Sa di avere un marito codardo e in occasione dello stupro, sembra intimamente apprezzare d’essere posseduta animalescamente da altre “bestie”, cioè da uomini veri. Infine, esorta in continuazione il compagno a ribellarsi, facendo licenziare i tre bifolchi che erano stati assunti per costruire il garage di casa. L’uomo s’innervosisce con lei che lo taccia di codardìa, ma nel momento decisivo, quello dell’assedio finale, invece di assecondarlo, quasi si schiera con gli aggressori, deludendo un pò lo spettatore perchè fa venir meno tutte le sue motivazioni durante tutto il film, lasciando il professore lottare da solo contro tutti. (scritta nel dicembre 2005)