Accidenti, non è affatto facile criticare uno dei tuoi eroi cinematografici, uno che come attore ti ha fatto vivere i momenti migliori degli ultimi 30 anni. E non è facile nemmeno ammettere, dopo aver tentato in tutti i modi di appigliarsi ad ogni motivazione possibile, che con la sua seconda opera da regista, De Niro abbia preso una vera e propria cantonata. L’impressione è che molti critici non siano riusciti a fare questa “operazione di verità”, mettendosi a nudo e ammettere la triste verità, nascondendosi dietro giudizi vaghi e astuti. L’attesa per quest’opera era molta, attesa data dall’ottima prova d’esordio ormai risalente a 14 anni fa, quel “Bronx” con cui l’attore-regista statunitense aveva esordito, cinquantenne, dietro la macchina da presa, e alimentata dal decadimento come attore nelle sue ultime prove, diviso all’interno di un filone pseudo-poliziesco ai limiti dell’inguardabile, film spesso neanche approdati nei nostri cinema, e commediole, dove a dire la verità ha ottenuto risultati sicuramente più apprezzabili. Molti aspettavano quindi con questo film il riscatto di un personaggio cardine degli anni Settanta, Ottanta e metà dei Novanta. E quindi la delusione è ancora più cocente, visto che “The Good Shepherd”, rimasto in cantiere per parecchi anni, divenendo un progetto lunghissimo, risulta un film piatto e per niente coinvolgente. Sarà per l’argomento, la storia della CIA attraverso l’analisi della vita di uno dei suoi primi agenti, Edward Wilson, dalla sua nascita e per 25 anni fino ai primi Sessanta. Dentro la pellicola ci sarà tanta storia, da quella più evidente (Baia dei porci, la Seconda Guerra Mondiale, ecc…) a quella oscura ai più, ma ciò che manca è la scintilla che riesce a dare la svolta al film. Sarà per la sceneggiatura di Eric Roth, sarà per la (voluta) recitazione piatta di Matt Damon, inespressivo, muto, a volte irritante, ma si passano tre ore aspettando ciò che mai avverrà. Una cosa riuscita invece è la colonna sonora, che riesce a dare al film il climax giusto, anche se poi non viene seguita dalle immagini e dagli accadimenti. Anche il resto del cast sembra messo in condizione di recitare ruoli piatti e a tratti inutili, in primis Angelina Jolie, ma anche Baldwin (molto meglio in “The Departed”), Turturro, William Hurt e la comparsata di Joe Pesci. Anche se il film viene da noi bocciato (ma attenzione, come tutte le critiche è un’opinione prettamente soggettiva e in quanto tale pronta ad essere smentita o contraddetta), ciò che viene promosso è il coraggio di De Niro che se nell’esordio aveva citato continuamente il suo amico Scorsese e il suo maestro Leone, in questo se ne distacca completamente, prendendo più la direzione di Coppola; De Niro ha il coraggio di raccontarci 30 anni di CIA senza un colpo di pistola, senza pestaggi, con pochissimi colpi di scena. Per questo un 10 al coraggio di De Niro e al suo impegno, che così spiazza il pubblico che, una volta tanto, avrebbe preferito non farsi spiazzare. Continueremo a volere bene a De Niro, al suo Tribeca Festival, alla sua riservatezza, sperando di avere preso un abbaglio o di esserci imbattuti in una serata per noi storta. Se così non fosse speriamo che la sua idea di dare due seguiti a questo film venga ritirata dopo i risultati della pellicola in America e a Berlino. In ogni caso rimane per noi una delle delusioni più cocenti di questa stagione cinematografica, peccato!