Richard Řeřicha

Storico

Richard Řeřicha Don't stop


2012 » RECENSIONE | Storico | musicale
Con Patrik Děrgel, Lukáš Reichl, Jiří Kocman, Jakub Zedníček, Oliver Cox, Viola Černodrinská, Kristina Svarinská

07/04/2013 di Arianna Marsico


Essere punk nella Praga del 1983 doveva essere parecchio più difficile che esserlo in Inghilterra. Perchè difficile era varcare quella cappa grigia di uniformità imposta dal regime e semplicemente riuscire ad ascoltare musica occidentale, che circolava semi-clandestinamente quasi fosse droga.

Don’t stop è un lungo flashback, che parte da una cassetta messa per sbaglio nell’autoradio da un ormai attempato Micky (Patrik Děrgel)

In una Praga la cui bellezza è aggredita dal grigiore sovietico Micky e David (Lukáš Reichl), illuminati dall’ascolto di London Calling dei Clash, decidono di formare una punk band. Batteria e prima chitarra ci sono,mancano una seconda ed un basso. Per quest’ultimo quasi per caso trovano Viktor (Jakub Zedníček) detto Vicious (e Sid non avrebbe avuto di che lamentarsi...). Uno strampalato amante di Rimbaud, ribattezzato Gizmo (geniaccio, interpretato da Oliver Cox) diventa secondo chitarrista e tecnico del suono... e sbuca persino il manager (Jiří Kocman). L’inizio è tutto entusiasmo, concerti, bevute, ragazze. Un sogno che si spegne quando David inizia a drogarsi. Come per i Clash, la cui fine inizia con la cacciata di Topper a causa della sua tossicodipendenza, così gli Émile Buisson si sfaldano. Il RIFF (Rome Independent Film Festival) ci ha offerto, proiettando Don’t stop, non solo uno spaccato sul cinema ceco e slovacco ma anche sulla storia di quel tempo.


Richard Řeřicha ci mostra la parabola di un gruppo che dalla carica dei Clash iniziale finisce con il ricordare molto di più il nichilismo dei Sex Pistols. Affermare “No future” da sfogo ed imprecazione diventa una constatazione di un’amara realtà che Micky vorrebbe provare a cambiare. I volti freschi degli attori incarnano la speranza di riprendersi in mano la propria vita, di essere come i coetanei fuori dall’orbita sovietica e di non essere costretti e lavorare per un regime mortificante. Nell’euforia iniziale dei ragazzi sembra quasi di rivedere la parte iniziale di Trainspotting. Si ride , si piange, si spera con quei cinque sovversivi. Perchè quella che può sembrare sterile ribellione giovanile non lo è se vivi in un posto in cui tutto è “normalizzato”, represso, “conforme ad ogni strana cosa” (CCCP)Ma la realtà presenta il conto. Praga “non lascia più, non perdona” e non nel senso magico inteso da Angelo Maria Ripellino. E nel ritrovarsi anni dopo incastrato dal traffico e stritolato dalle scadenze lavorative la cassetta fa scattare in Micky qualcosa di nuovo...

Punk’s not dead...