Rama Burshtein La sposa promessa
2012 » RECENSIONE | Drammatico
Con Hadas Yaron, Yiftach Klein, Irit Sheleg, Chaim Sharir
20/11/2012 di Paolo Ronchetti
Storia di una famiglia cassidica ortodossa di Tel Aviv. La figlia più giovane, la diciottenne Shira,
sta per sposarsi con un coetaneo promettente che appartiene al suo stesso ambiente: è un sogno che si realizza. Tutto cambia quando viene spinta dalla madre ad accettare in sposo il vedovo della sorella, morta di parto, per impedire che l’uomo si porti via il neonato nipote. Shira dovrà scegliere tra il proprio sogno e il dovere verso la famiglia. La regista filma queste pratiche con obiettività semplice e chiara, senza mettere in discussione regole di vita che potrebbero sembrare antiquate, ma il cinema finisce per scardinarle e mettere in crisi la rigidissima corazzata ideologica che soffoca le donne della comunità.
In molti, al termine della proiezione milanese (all’interno delle Vie del Cinema dedicate al 69° Festival di Venezia - in versione originale sottotitolata), siamo usciti profondamente turbati e commossi da questo inaspettato splendido gioiello.
La regista Rama Burshtein in questo LA SPOSA PROMESSA (LEMALE ET HA’CHALAL)indovina tutto. Indovina una storia che, pur così lontana dal nostro sentire occidentale, lentamente ci entra dentro facendoci condividere il senso di Quella comunità e di Quei personaggi. Indovina una serie di attori straordinari per misura e soprattutto una Hadas Yaron giustamente premiata da una Coppa Volpi mai sembrata più appropriata. Ma soprattutto Rama Burshtein indovina una intima “giusta distanza” nel racconto. Una vicinanza che si fa pudore e imbarazzo dolce, passione e rito, festa e dramma. Una vicinanza che è capace di fermarsi un secondo prima che diventi impudicizia con una misura e attenzione assolutamente unici.
Nella splendida scena in cui i due protagonisti, dopo il dramma della morte della sorella/moglie/madre, parlano delle possibilità dei loro destini, la Yaron esprime il pensiero della regista quando, nel momento in cui la discussione si fa sempre più intima e vicina, richiama il cognato/possibile marito al fatto che si stanno avvicinando troppo con il corpo, che l’accorciarsi della distanza in quel momento non aumenterebbe la vicinanza e l’intimità ma confonderebbe e impedirebbe la comprensione con un inutile scorciatoia.
A cornice di tutto il film una immersione in riti, a molti di noi, lontani e sconosciuti. Riti fatti di canti e tradizioni che sono realmente patrimonio comune e condiviso, e con un Rabbino che si pone come figura che, se da un lato rimanda a una Legge immutata da secoli, dall’altro lo fa con una famigliarità e autorità che è freno alle ansie e alle storture dell’uomo.
E allora una scelta così distante dal nostro sentire diventa, a saper ascoltare con il cuore, anche la nostra scelta condivisa con commozione. E allora, prima o poi, l’amore arriva: dolce e forte frutto di un inaspettato cammino.