Pedro Almodòvar

Drammatico

Pedro Almodòvar La stanza accanto


2024 » RECENSIONE | Drammatico
Con Tilda Swinton Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola



10/12/2024 di Laura Bianchi
Una premessa: La stanza accanto, l'ultimo film di Pedro Almodòvar e il primo suo lungometraggio in lingua inglese, è tratto dallo splendido romanzo del 2020 Attraverso la vita di Sigrid Nunez, che racconta, col punto di vista di una scrittrice, una quotidianità dorata, profondamente modificata dalla richiesta di un'amica di gioventù, malata terminale, di accompagnarla nell'ultimo mese della sua vita, lasciandola libera di decidere quando assumere una pillola per l'eutanasia.

La premessa è necessaria, per capire la delicatezza, il gusto, la genialità del regista spagnolo nel trattare il romanzo, spostandone i passaggi, tacendone alcuni e sottolineandone altri, per mettere in luce le tematiche che più gli stanno a cuore. Ci vogliono intelligenza, tatto, sensibilità per entrare nel mondo letterario e farlo confluire in immagini, dialoghi, situazioni: e questo film è la dimostrazione che è possibile, e che, in mezzo a orride trasposizioni che fanno esclamare la solita frase "Ma è meglio il libro!", La stanza accanto è un gioiello prezioso, un film che rivaleggia col romanzo, per profondità e intensità. E per molti motivi.

Innanzitutto, la direzione di due attrici eccezionali. Tilda Swinton è una Martha complessa, dal passato burrascoso da reporter di guerra, che ora si trova a decidere l'esito di una guerra ben diversa: quella tra il corpo, minato dal cancro, e la volontà, che desidera vivere, ma, in alternativa, anche saper morire con dignità. Julianne Moore è una Ingrid solo apparentemente fragile, che a oltre cinquant'anni si trova ad affrontare un percorso di formazione definitivo, evolvendosi da una scrittrice preda della paura della morte a una donna capace di affrontare quella altrui con fermezza ed energia. E i dialoghi tra loro, pur a tratti sovrastati da una colonna sonora enfatica e troppo melodrammatica, sono autentiche prove attoriali, per intensità di sguardi, per profondità mimica e gestuale, per sfumature vocali (film da vedere assolutamente in lingua originale).

Poi, il modo con cui il regista tratta colori e luci. Niente è lasciato al caso: le citazioni visuali sono raffinate, le cromie accuratissime, al punto che le due donne, vicine, compongono una palette totalmente armonica, di chiaroscuri delicati ed espressivi. Hopper, citato esplicitamente, il pittore poeta delle solitudini, di "Gente al sole", torna in modo insistente, a suggerire una rima non solo estetica, ma anche etica: le solitudini non possono essere risolte, nasciamo e moriamo soli, ma l'arte può restare, può - e deve - cercare un senso, e unire le anime. Esemplare è in tal senso la scena in cui le due amiche, una sera, vedono due DVD, uno, comico, di Buster Keaton, Le sette probabilità, uno, drammatico, di John Huston, The Dead, tratto dalla novella di Joyce più volte evocata nel film, a sigillare la loro amicizia attraverso sorrisi e lacrime comuni.

Infine, le tematiche inserite nel romanzo e acutamente scelte da Almodòvar. Che, a 75 anni, medita su alcuni degli argomenti a lui cari: la depressione e le crisi di nervi, il rapporto madre figlia, la fisicità umana, imprescindibile in ogni relazione, il destino (in spagnolo, "destino" significa sorte, ma anche destinazione finale), la natura serenatrice, la libertà, la permanenza dell'arte e della bellezza che sfidano la morte.

E in quest'ottica ogni sequenza assume un significato profondo e forte, come l'incontro di Martha con un amante di entrambe durante la loro gioventù (un accudente John Turturro), spunto per riflettere su nascita, morte e sorti dell'umanità, o quello con un personal trainer, che vorrebbe abbracciarla per consolarla del suo dolore, ma non può, per la policy della palestra che impedisce di toccare i clienti ("abbiamo costruito un mondo inumano"), o, ancora, l'interrogatorio incalzante e subdolo di Martha da parte del poliziotto "cittadino e uomo di fede". che considera l'eutanasia un reato, e che si scontra con il sublime silenzio dell'amica. Tasselli fondamentali, a comporre un'opera articolata, che si risolve in un finale austero e dolce insieme, dal forte significato simbolico, che evita ogni eccessi retorici e che ribadisce la presa di posizione del regista durante la premiazione del film a Venezia: "I miei personaggi sono sempre stati liberi di vivere" ha detto il regista, "e in questo film dico che devono anche essere liberi di morire se la vita diventa qualcosa di insopportabile".

Seguiamo anche noi l'evoluzione di Martha, che, quando Ingrid sceglie di chiudere la porta alla vita, incontra la figlia di lei, sempre interpretata da Swinton, ma con un trucco che la rende giovane, doppio rovesciato dell'Ingrid ormai morta. Ed è Martha che continua e celebra la vita dell'amica, affidando alla scrittura la memoria, come Almodòvar la affida al cinema. 

Perché, è vero, siamo ombre che camminano, destinate a diventare cenere. Ma film come questi ci suggeriscono di evitare di essere morti in vita, e preferire di amare la vita, e proteggere la sua e la nostra dignità, fino all'ultimo respiro.