Pedro Almodovar

Pedro Almodovar PARLA CON LEI


2002 » RECENSIONE |
Con Javer Camara, Dario Grandinetti, Rosario Flores, Leonor Watling, Geraldine Chaplin

di Claudio Mariani
Che fatica cercare di recensire questo film di Pedro Almodovar, uno sforzo tremendo perché è difficilissimo riportare su carta (anche virtuale come questa) le emozioni e le sensazioni vissute. E si, perché Parla con lei è proprio questo: emozioni allo stato puro, e in questo caso il grande regista spagnolo ce le regala con naturalissima delicatezza. Il film è proprio così, leggero come una piuma che sfiorandoti il viso ti fa starnutire o, peggio ancora, scendere delle lacrime dagli occhi, involontariamente. Proprio come quelle piccole gocce cadono ma non lasciano intendere uno stato di tristezza, anche quelle eventuali provocate dal film (chiaramente sto parlando di lacrime ideali-mentali, ricordo i Cure: Boys don’t cry, ma sarà poi vero?) non sono negative, ma sono frutto di pura emozione positiva, tendenzialmente non salate ma dolci.
Si parla di due donne in coma e di due uomini che le vegliano, Marco è il compagno di una famosa torera incornata dal suo avversario e ora in stato vegetativo, per contro vi è l’infermiere Benigno, innamorato dell’altra paziente, ballerina. Sembrano tutti normali o al limite un attimino fuori dalla realtà, ma la situazione è peggiore di quanto si possa pensare. La storia raccontata è complicata nella sua linearità quasi elementare, sembra che non succeda nulla ma tutto accade, e di una portata grossa come la vita delle persone, presa fino alla morte ed oltre, travalicando ogni genere di confine ed ogni limite terreno. No, non stiamo parlando di fantasmi, né di soprannaturale, ma di AMORE, scritto tutto maiuscolo perché non corrisposto, di felicità, scritta minuscolo perché cercata e forse mai trovata, e di solitudine, sottolineata in quanto sempre presente. E la storia parla proprio di questo, di come la ricerca di felicità porti all’amore incondizionato che si trasforma poi in solitudine, o di come la solitudine porti all’amore in cerca della felicità, o di come la fine dell’amore porti alla solitudine che può forse dare più felicità, e così via. Il gioco dei sentimenti in questa pellicola è sottile e adattabile come meglio noi crediamo, in base alle nostre esigenze ed in base ai nostri stati d’animo e ciò è la sua forza: adattarsi, cambiare forma e aderire alle persone, come un telo di seta che ti avvolge e aderisce al tuo corpo. Ci sentiamo scaldati e protetti da questo film, allo stesso momento, perché ci emoziona e ci fa sognare; abbiamo trovato un Almodovar al pieno della sua maturità, egli ha voglia di affrontare argomenti sempre più profondi e di abbandonare sempre più la sua tendenza dissacratoria, qui presente solo in un paio di scene. Lontani sono i tempi in cui un giovane regista spagnolo si divertiva a sfornare film tra il riso e il pianto, figli di una libertà appena acquistata da un popolo (dalla metà degli anni Settanta in poi) e quindi trasgressivi, espliciti, provocatori; sono questi gli anni degli allucinati Labirinto di passioni e, soprattutto, L’indiscreto fascino del peccato. I territori più drammatici ma immersi nel grottesco li affronterà più tardi, con Matador e la Legge del desiderio, dove crescono anche i riferimenti sessuali così sfacciatamente mostrati al pubblico, caratteristiche che vengono poi ripetute ma venate da una verve comica originalissima con gli anni 90, in Donne sull’orlo di una crisi di nervi e Legami!. E’ dal 1997 che cambia tutto il cinema almodoviano, la poetica e i sentimenti vanno piano piano a riempire le storie sceneggiate dallo stesso regista, con Carne Tremula e il capolavoro drammatico Tutto su mia madre.
La strada intrapresa con il film che vinse l’Oscar come miglior opera straniera nel 1999 non è stata abbandonata e speriamo che sia lunga parecchie migliaia di chilometri perché da questo tipo di fare cinema non ce ne vogliamo più staccare, ne abbiamo bisogno, linfa vitale per il nostro inconsapevole stato di coma vegetativo nel quale viviamo ogni giorno, e dal quale vogliamo essere ridestati, e ci piace magari pensare che un film possa anche solo in parte fare ciò.

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