
Pawel Pawlikowski Cold War
2018 » RECENSIONE | Drammatico
Con Joanna Kulig, Tomasz Kot, Borys Szyc, Agata Kulesza, Cédric Kahn, Jeanne Balibar





23/12/2018 di Silvia Morganti
Mentre lo si guarda tutto appare magistralmente orchestrato, nessuna sbavatura, è come se tanta perfezione di immagini e suoni fosse contenuta e dominata, quasi troppo. Pawel Pawlikowski, il regista polacco, fa scelte sicuramente di stile: il B/N offre un gusto per la fotografia che forse supera i risultati del film precedente, il bellissimo Ida; ogni fotogramma è perfettamente incorniciato, ogni scena è inquadrata con maestria. Forse però perde talvolta in coinvolgimento.
Gioca con le geometrie messe in campo? La scelta del 4:3 pone al centro i soggetti illuminati quasi da una luce propria, più nitida rispetto allo sfondo; incredibilmente mantenuta in tutta la pellicola la capacità di offrire allo sguardo dello spettatore una illuminazione in grado di rivelare le parti nascoste, fisiche o psichiche che siano, dei protagonisti. Ma il risultato non è dato solo dalla luce o dal colore, ma dalla posizione degli elementi in scena, dalla loro spazializzazione. Si noti in particolare l’uso degli specchi, mai in evidenza, tanto che li si potrebbe non notare, eppure essenziali nella ripresa. E poi ci sono anche scene di rottura delle geometrie, in cui la libertà dei movimenti sfugge alle ‘linee’ precedenti: è parte del gioco! Il gioco però –attenzione– non è artificio, è creazione. Cambia l’intensità e il calore durante il dipanarsi della storia.
Un film che ha radici nella storia d’Europa (che potrebbe piacere molto anche all’America degli Oscar, a cui è candidato nel 2019 come Miglior Film straniero), quella dei blocchi, dell’Est e dell’Ovest, tra il 1949 e il 1964. Una Guerra fredda che è sottofondo e sostanza però di una storia d’amore. I due protagonisti Wiktor – interpretato da Tomasz Kot – e Zula – resa dalla brava Joanna Kulig – vivono la loro Polonia come dono e condanna: possono recarsi a Berlino Est, a Parigi, in Yugoslavia, ma è come se l’appartenenza alla propria terra li facesse sentire sempre in esilio, da se stessi.
La storia tra l’uomo e la donna conosce ostacoli e sviluppi intensi, gioie e miserie, bellezza e trasformazione, allontanamenti e improvvise possibilità di ritorno. L’amore scava le vite per riempirle e svuotarle a seconda del momento. Tutto è scandito dalla musica che non è colonna sonora, bensì protagonista, elemento narrante. Le musiche folkloriche polacche in particolare sono una restituzione di bellezza estrema, capaci all’ascolto di toccare davvero corde nascoste. Il jazz di Parigi degli anni Cinquanta – presso il locale Eclipse – dà calore e movimento, un sogno di libertà.
Alcune notazioni: la fotografia, forse involontariamente, può ricordare talvolta il maestro Henri Cartier-Bresson, anche se l’uso del contrasto appare diverso, ma i soggetti, i paesaggi, gli spazi lo riportano alla mente. La scena finale ad esempio, un incrocio perfetto con panchina tra l’aldiquà e l’aldilà!
Inoltre, il bagno come luogo di intimità e di nascondimento scandisce in punti diversi la trama in snodi importanti.
Infine esiste un punto del film in cui lungo la Senna su un bateau mouche i due protagonisti vivono nello sguardo – in ciò che guardano – e nella dolcezza del momento una grazia del tutto simile (quasi sovrapponibile) a quella che i due protagonisti magnifici di Charade vivono nel film di Stanley Donen del 1963. Un tributo? Una coincidenza? A noi piace pensare a una felice memoria (in)volontaria, chissà!
“Come è dolce la vostra lingua” si dice ad un certo punto e questo pensiamo che sia un buon suggerimento per la scelta della versione da vedere, senza dubbio in lingua originale sottotitolata.
Il film è dedicato al ricordo dei genitori di Pawel Pawlikowski.