Nickolas Rossi

Documentario

Nickolas Rossi HEAVEN ADORES YOU


2014 » RECENSIONE | Documentario | Biopic
Con Elliott Smith

25/07/2015 di Laura Bianchi
Ci sono voci, e volti; fotografie, e canzoni; scenari metropolitani, e vaste distese naturali. C’è sentimento, e lucidità, e bisogno di comunicare e condividere valori che molti ritengono persi, o inutili: il rispetto, la dignità, l’intimità, l’amicizia.

C’è tutto questo, in Heaven adores you, docu-film e biopic su Elliott Smith, l’inquieto cantautore americano, che finì i suoi giorni a 34 anni, trafitto da due coltellate al petto. Ma le definizioni cinematografiche non riescono ad inquadrare l’opera di Nickolas Rossi, che sfugge dai contorni, forse volutamente, proprio come è impossibile classificare Elliott Smith, che ha sempre accostato, nelle sue canzoni, un’ispirazione autenticamente punk alla ricerca di un’espressione altrettanto autenticamente intima ed esistenziale.

“I’m the wrong kind of person to be really big and famous.”, dice quietamente Smith nell’unico minuto in cui appare, all’inizio del film; ed è da qui che Rossi parte, per ripercorrere la parabola del musicista, scegliendo il tono celebrativo, e stemperandolo appena, ogniqualvolta si rende conto che il film sta scivolando verso la china della fanzine (del resto, il progetto partiva proprio da un montaggio di interviste fatto per i fans, poi evolutosi in una raccolta fondi su Kickstarter (https://www.kickstarter.com/projects/916981803/heaven-adores-you-an-elliott-smith-project ) ).

Così, i conoscitori della vita di Smith non si stupiranno, se non viene fatto accenno ai rapporti, molto peggio che difficili, fra Elliott e il suo patrigno, e, dalle parole della sorellastra, emerge solo il ritratto di un ragazzino che studia musica ed ascolta i Beatles, ma non vengono date spiegazioni sul motivo per cui, a soli 14 anni, questo ragazzino lascia il Texas e va a vivere col padre, psichiatra a Portland, dove otterrà i primi successi; e viene steso un silenzio pesante sulla morte del musicista, non è chiaro se per evitare di approfondire il tema della dipendenza dalle droghe (altro omissis importante della pellicola), oppure per sottolineare il senso dell’opera: uno sguardo come dall’alto, dall’eterno in cui Smith ora è, che sia l’eternità terrena, data da quanti ancora ricordano, ascoltano, suonano la sua musica, oppure quella estetica, trascendente, che Smith ha rincorso per tutta la vita, trovandola, a tratti e per intuizioni, dentro un precario equilibrio fra brani lo-fi e nostalgie hippy.

E le inquadrature dall’alto delle città in cui Elliott è vissuto (Portland, New York City, Los Angeles) e dei paesaggi che lo hanno ispirato sono fra le più pregevoli del film; sembra che Rossi inviti tutti a guardare dall’alto, con distacco, i cedimenti, le nevrosi, le ossessioni, le lotte e le sconfitte dell’esistenza passata, per elevarsi, con l’animo finalmente pacificato, verso una dimensione altra; quella che si intuisce negli sguardi dolci e nostalgici, ma sereni, degli amici intervistati, della compagna di una vita e musa ispiratrice Joanna Bolme (che ci introduce alle motivazioni che hanno generato canzoni importanti, come Say Yes), della manager Margaret Mittleman. Come se l’unica cosa che contasse, ora, fosse il ricordo di una persona importante, troppo fragile per camminare su questa terra, molto forte per volare alto, ora. In un paradiso che lo adora.