Gabriele Salvatores

Drammatico

Gabriele Salvatores IO NON HO PAURA


2003 » RECENSIONE | Drammatico
Con Giuseppe Cristiano, Mattia Di Pierro, Aitana Sanchez-Gijon, Diego Abatantuono, Dino Abbrescia

di Luca
È estate. A cavallo tra gli anni 60 e 70. Un sole accecante abbaglia un piccolo paesino del sud imprecisato d’Italia. Ed è qui ad Acqua traverse che si snodano le vite di cinque piccoli bambini immersi nel grano dorato che passano la giornata a giocare e dei loro genitori tappati in casa, sopraffatti dall’ afa, intenti a organizzare il colpo che cambierà la loro vita. Questa è la storia di Michele Amitrano, un bambino che nel corso di una giornata uguale alle altre si imbatte in una realtà più grande di lui, che non può capire perché ha solo dieci anni. Un segreto nascosto in un buco che lo opprime e che finisce per svelare alla persona sbagliata, il suo migliore amico, in cambio di una piccolo furgoncino blu, un giocattolo, che per un bambino come lui rappresenta il più bel gioco pensabile, un qualcosa per cui valga la pena di condividere un così grande segreto.
“Promettimi che quando sarai grande te ne andrai di qui” è una frase che tradisce lo spirito di questa storia, del paese arso dal sole e dei suoi abitanti che come nei romanzi del Verga cercano disperatamente di lottare contro l’immobilità delle cose ma in un modo o nell’altro ne restano sopraffatti: una frase pronunciata dalla madre di Michele, in un momento di sconforto, tra le lacrime, quando tutto stava per andare a rotoli.
Quattro case malridotte, un furgone parcheggiato, una 127 Fiat e tanto grano che diventa il leitmotiv di questo film, sono la cornice entro la quale si svolge la storia di un rapimento organizzato da un Diego Abatantuono alle prese col ruolo di un milanese brutale e sporco che, forte dell’autorità di leader che lo contraddistingue, organizza e dirige un manipolo di balordi che sono gli stessi genitori dei ragazzetti ignari.
Così le giornate vengono scandite tra le quattro mura sporche e povere di suppellettili di casa Amitrano, dove il faccione di Emilio Fede, la cui chioma gremiva in quegli anni lo schermo del Tg1, accompagna e riunisce davanti a se le speranze dei coniugi Amitrano e dei loro colleghi di avere i soldi del riscatto coi quali, giura il padre di Michele, che li porterà al mare.
Nonostante il padre camionista e la madre casalinga prima cerchino di capire gli ambigui comportamenti di Michele e poi lo spaventino per tenerlo lontano da tutta la storia del rapimento, egli matura le sue spiegazioni a questa realtà a lui incomprensibile e anima i suoi sogni di pensieri strani e di orsetti lavatori.
Il terribile segreto si chiama Filippo, un bambino segregato in un buco che il protagonista scopre per caso. Sporco, col corpo graffiato e quasi cieco per l’abitudine degli occhi al buio, Filippo diventerà la sua ossessione e il motivo della sua estraniazione dalla famiglia colpevole e dai suoi amici che non possono condividere con lui un simile fardello.
All’inizio entrambi i protagonisti sono spaventati l’un l’altro, poi riescono a familiarizzare, a vincere le rispettive paure e ad abbattere le fragili difese fatte di minacce che “i grandi” cercavano di ergervi attorno, fino a quando Michele riesce a metterlo in piedi e a farlo uscire da quel buco che per Filippo rappresentava la morte, a fargli riaprire piano piano gli occhi e a farlo sorridere, dipingendo così un dei più bei momenti del film.
Tratto da un libro di Niccolò Ammaniti, che qui è anche sceneggiatore, questo film è sicuramente una trasposizione cinematografica ben riuscita, che non si perde in descrizioni tediose, che ha il pregio di porre tutto sotto la stessa luce, una luce bianca e accecante, ma vera, che conduce con ritmo frenetico ad un finale purtroppo deludente; un finale intriso di perbenismo dove i grandi perdono, i piccoli vincono e gli elicotteri dei carabinieri intervengono al momento giusto a frenare il dito sul grilletto di un Abatantuono (a suo agio per la prima volta nei panni di un “cattivo”) determinato a eliminare la causa di tutti i loro guai: il povero Filippo. Non è la prima volta che un libro di Ammaniti viene portato sul grande schermo: è accaduto con il suo primo, controverso romanzo “Branchie”, da cui l’omonimo film di Francesco Ranieri Martinotti, scomparso rapidamente dalle sale, e con il memorabile “Fango” da cui è stato tratto “L’ultimo capodanno”, di Marco Risi con sceneggiature dello stesso scrittore. Così il regista Gabriele Salvatores ha scelto la strada più semplice e non ha avuto l’ardire di lasciare gli spettatori privi del solito rassicurante finale, che è peraltro diverso da quello del libro.
Sono tanti, però, i pregi di questa pellicola: prima fra tutte la felice intuizione di scegliere il suo cast fra attori di strada, quasi tutti alla prima esperienza. Tra tutti spiccano i due straordinari protagonisti molto ben caratterizzati dal punto di vista psicologico.
Michele (Giuseppe Cristiano) ci appare subito come altruista: è il brivido della scoperta sotto la spinta della curiosità, della volontà, dell’istinto che lo spinge a scoperchiare quella buca e a scorgerne il segreto. Lascerà per sempre il mondo dei piccoli affacciandosi su quello degli adulti quando scoprirà Filippo, deciderà di aiutarlo e contravverrà così alle minacce del padre.
Filippo, (Mattia Di Pierro) invece, si lascerà convincere e cullare da Michele aprendosi lentamente fino a riacquistare la libertà.
Anche gli altri componenti del gruppetto sembrano già attori navigati, in particolare il “teschio”, perfetto nel ruolo di capobanda. Lo stesso dicasi per i grandi dove spicca l’interpretazione del fratello del teschio, caricatura ed emblema di una gioventù bigotta e ignorante spesso a cavallo della sua 127. Per tutta la durata del film la macchina da presa è sempre a un metro e trenta da terra perché questa è la prospettiva del protagonista; si osserva rimanendo incantati e si scorgono due mondi, quello bambino e quello adulto, lontani anni luce.
Anche il linguaggio contribuisce a creare quest’atmosfera sospesa, risultando aulico, arcaico e strano, non ben definito, tra il campano e il pugliese, senza tempo, con reminiscenze albanesi e inflessioni della Lucania e della Basilicata.
Ottime persino le musiche, affidate a Pepo Scherman e Ezio Bosso, orchestrate e dirette da quest’ultimo.
Una storia semplice che si lascia facilmente apprezzare, e molto ben riuscita se si pensa al coraggio del regista di “sfidare” quel superlativo romanzo da cui è tratta.

CREDITI

Anno: 2003
Data uscita: 14/03/2003
Produzione: Colorado Film, Cattleya
Distribuzione: Medusa

Regia: Gabriele Salvatores
Sceneggiatura: Francesca Marciano Niccolò Ammaniti
Fotografia: Italo Petriccione
Scenografia: Giancarlo Basili
Costumi: Florence Emir Patrizia Chericoni
Montaggio: Massimo Fiocchi

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